Malgrado i quindici giorni trascorsi tra la formale approvazione del decreto legge per Genova (13 settembre) e la sua effettiva scrittura e pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale (28 settembre) – uno scarto temporale che secondo il servizio studi della camera dei deputati mette in dubbio il requisito dell’immediata applicazione, indispensabile per i decreti legge – il governo si era dimenticato degli sfollati costretti a lasciare le case sotto al ponte Morandi. E si era dimenticato di spiegare in che modo sarebbe stato possibile demolire i monconi del ponte ancora in piedi e cominciare a ricostruirlo, posto che la gestione di quel tratto è ancora di Autostrade per l’Italia, adesso l’unica società esclusa dall’appalto per il nuovo ponte. Lo aveva fatto notare cinque giorni fa il sindaco commissario Bucci: «Quando la magistratura toglierà il sequestro delle macerie, per metterci le mani servirà un esproprio o la revoca della convenzione». E così il governo si è deciso alla revoca. Non quella generale di tutte le tratte autostradali, più volte promessa dal 15 agosto in avanti e tutt’ora affidata alla lunga e complessa procedura prevista dalla convenzione con Autostrade. Con un emendamento al decreto arriva – subito – una revoca limitata, consentita per «i tronchi autostradali funzionalmente connessi al viadotto Polcevera». Sarà proprio Bucci a indicare quali tratte della autostrade A7 e A10 è indispensabile sottrarre al concessionari, e Autostrade dovrà consegnarle «immediatamente» al commissario straordinario.

La società dei Benetton perde così per legge il titolo in base al quale ancora si propone per la ricostruzione «veloce» del Morandi – da un minimo di 9 a un massimo di 16 mesi, secondo le due ipotesi alternative che ha detto ieri di aver consegnato a Bucci, che però ha risposto dicendo di non aver ancora visto niente. A meno che Autostrade non faccia ricorso anche per questo, oltre che per l’esclusione dall’appalto per la ricostruzione, possibilità che l’ad Castellucci non ha per niente escluso quando all’inizio della settimana è stato ascoltato alla camera dei deputati.

Il lavoro sul decreto Genova nelle commissioni ambiente e trasporti di Montecitorio procede così in modo sotterraneo, con il governo che emenda se stesso e le votazioni sugli emendamenti effettivamente presentati dalle opposizioni che non cominceranno prima di martedì prossimo. A quel punto bisognerà correre, l’obiettivo della maggioranza è quello di avere un testo per l’aula entro la fine della settimana. E non cambiarlo più, nemmeno al senato, perché se è vero che c’è tempo per la conversione fino alla fine di novembre, è vero anche che il testo originario del decreto è ormai superato e sarebbe una beffa (un’altra) arrivare al momento in cui la magistratura toglierà il sequestro sul ponte senza lo strumento normativo necessario per la ricostruzione.

Su un altro emendamento del governo si è raggiunto un accordo ieri con gli sfollati, se n’è occupato direttamente il sindaco commissario Bucci. I fondi, inizialmente non previsti, e ora indicati con la formula che deve versarli Autostrade, ma se non li versa se ne occupa lo stato (la stessa che sta dietro i 360 milioni di costi per la ricostruzione del ponte), ammontano a oltre 72 milioni. A conti fatti – circa duemila euro a metro quadro per la casa che si dovrà abbandonare, più una serie di indennità per i disagi – per gli sfollati potrebbe essere «un ristoro persino leggermente maggiore di quello che inizialmente pensavamo», ha detto il presidente del comitato degli sfollati di via Porro, Franco Ravera. Che però ha aggiunto di non potersi ancora fidare, visto che «il testo dell’emendamento è scritto male». Tant’è che resta il dubbio se queste cifre siano garantite alle sole aziende costrette a lasciare la zona rossa o a tutti i residenti. Quanto al fatto che il decreto sia scritto male, lo ha detto anche il servizio studi della camera: ha indicato vari casi di rimandi di legge sbagliati e interi passaggi da cambiare