La revoca della concessione ad Autostrade, la nazionalizzazione della gestione della rete autostradale, la società dei Benetton fuori dalla ricostruzione del ponte: le certezze di Facebook diventano lontane eventualità nel momento in cui, tre settimane dopo il crollo del ponte Morandi, il ministro Toninelli lascia i social e arriva finalmente in aula alla camera. La sua informativa al parlamento è precisa solo sulle responsabilità dei governi precedenti, compresi quelli con dentro la Lega: «Il banchetto delle concessioni è cominciato con Prodi e D’Alema ed è stato blindato da Berlusconi nel 2008. Questo a riprova delle affinità e continuità tra centrosinistra e centrodestra che noi abbiamo sempre denunciato».

«NOI» DEVE INTENDERSI come i 5 Stelle, evidentemente, non «noi» governo; non c’è alcun ministro della Lega accanto a Toninelli e non è un caso. Sul crollo di Genova agli atti del parlamento resta una risoluzione che più vaga non si può.

La nazionalizzazione della rete autostradale, annunciata come scelta già fatta fino a qualche giorno fa («l’unica soluzione», Di Maio 27 agosto), diventa «il governo dovrà valutare la possibilità di individuare un soggetto a prevalente o totale partecipazione pubblica subentrante nel rapporto concessorio».

Subentrante, ma solo se arriverà quella revoca che la battaglia legale ingaggiata da Autostrade obbliga a considerare ormai una possibilità, non si sa ancora se e quanto onerosa. «Revisione, revoca, risoluzione», adesso il governo tiene tutto insieme e abbonda in termini che non sono sinonimi – ben si capisce come la revisione sia tutt’altra cosa dalla «caducazione» (parola che nel trascorrere dei giorni è sparito del tutto).

Persino la ricostruzione del ponte, per la quale è già avviata la costituzione di un’associazione di imprese con al centro Finmeccanica, sembra tornare al punto di partenza: «Il governo è impegnato a valutare ogni implicazione in merito all’opportunità di affidare la ricostruzione a un soggetto a prevalente o totale partecipazione pubblica riconoscendo comunque prioritariamente un obbligo di partecipazione agli oneri in capo alla società concessionaria». Vale a dire che se non si troverà il modo di non allungare troppo i tempi e non far pagare Autostrade senza per questo coinvolgerla, e al momento non è stato trovato, la società dei Benetton sarà necessariamente coinvolta.

TONINELLI, che Di Maio propose come ministro già quattro anni fa «non perché sia eccezionale ma perché la politica in fondo è una cosa semplice», finisce con il complicarsi da solo il pomeriggio.

Spiega di aver finalmente reso pubblici tutti gli allegati delle concessioni autostradali e di averlo fatto vincendo «pressioni interne ed esterne». Naturale che tutta l’opposizione, prima ancora di cominciare il dibattito, gliene chieda conto. Anche ricordandogli che se ci sono state queste pressioni, in quanto pubblico ufficiale avrebbe il dovere di denunciarle. «Faccia i nomi, vada in procura», gli ripetono in coro. Il presidente della camera Fico non aiuta Toninelli: «Il ministro si assume la responsabilità di quello che ha detto». E così il ministro passa le tre ore del dibattito al cellulare per capire come replicare. Sceglie di non dire neanche una parola.

DI «PRESSIONI» aveva già parlato davanti alle commissioni il 27 agosto scorso. E quando allora gli era stato chiesto di essere più chiaro aveva detto che si riferiva alla diffida legale di Autostrade. Un fatto noto: la società dei Benetton non voleva fossero pubblicati i piani finanziari della convenzione. La diffida in realtà era arrivata al predecessore di Toninelli alla guida del Mit, Delrio, e a quella diffida Toninelli si è attenuto: la pubblicazione di tutto il materiale sul sito del ministero è arrivata solo dopo che Autostrade aveva fatto cadere nella sostanza la sua minaccia, pubblicando per prima tutti i documenti. Nella risoluzione non c’è alcun impegno preciso nemmeno per quanto riguarda gli interventi di emergenza.

ARRIVERÀ UN ALTRO DECRETO che terrà dentro gli interventi per il crollo del ponte Morandi e altre questioni più generali su tutte le infrastrutture (i controlli). Non sarà quella legge speciale per Genova chiesta dal presidente della regione e dal sindaco. Toninelli promette una casa per tutte le quasi 600 persone sfollate «entro 3 mesi» e «aiuti alle imprese per la delocalizzazione temporanea». Di Maio nel frattempo con un post su Facebook provava a rassicurare sia i terremotati di Ischia che gli sfollati di Genova che ieri hanno protestato durante il consiglio regionale: «Non si può lasciare la gente in balia dell’elemosina di Autostrade». Ma quello che si capisce al termine del dibattito in parlamento sul crollo del ponte Morandi è che adesso sono in balia delle divisioni politiche tra Lega e 5 Stelle.