Di rinvio in rinvio, il decreto per Genova sarà approvato dalla camera solo il prossimo mercoledì. Al senato resteranno così appena tre settimane prima della scadenza del tetto dei 60 giorni; la conversione in legge arriverà in extremis (l’aula a palazzo Madama è prenotata dal 13 novembre) e non si può escludere – anche se il governo continua a farlo – il ricorso al voto di fiducia. I finanziamenti destinati agli sfollati dunque dovranno attendere fino all’ultimo giorno, tradita la promessa di un esborso rapido. Il governo è riuscito a complicarsi terribilmente la vita da solo e la maggioranza ieri ha chiesto per tre volte il rinvio delle votazioni, nel primo giorno di esame in aula.

Il problema è ancora quello delle coperture. Lo stesso da quando è crollato il ponte Morandi, settantadue gironi fa. Lo stesso dal presunto varo del decreto, il 13 settembre scorso. La storia è nota: il Consiglio dei ministri approvò «salvo intese» un testo con molti spazi bianchi, sufficiente però per consentire al presidente Conte di andare a Genova il giorno successivo – un mese dopo il disastro – e dire «non sono tornato a mani vuote». Poi il lungo rimpallo tra ministeri, con il testo fermo al Mef per mancanza di coperture, il ministro Toninelli capace di annunciare il varo «nelle prossime ore» a giorni alterni, i 5 Stelle furibondi contro «i tecnici» e nel mezzo le richieste di Regione e comune. Poi il varo effettivo, due settimane dopo l’annuncio alla stampa, il testo alla camera e subito l’esigenza di emendarlo ancora per trovare le risorse. Chiuso il calvario in commissione, ecco che ieri la legge di conversione arriva in aula e per tre volte – alle 10.30 alle 13 e alle14 – la maggioranza chiede di rinviare la discussione perché manca il via libera obbligatorio della commissione bilancio. Le coperture non ci sono ancora.

Manca la cosiddetta «bollinatura», cioè il via libera della Ragioneria dello stato che nella serata di mercoledì ha consegnato un parere pieno di rinvii ad altre amministrazioni. Ad altri ministri dello stesso governo. La situazione è ancora quella del decreto originario, quello del 13 settembre, che lasciava in bianco gli spazi che i vari ministeri avrebbero dovuto coprire. Non ci sono certezze nemmeno sul costo della struttura commissariale. Otre ai 200mila euro per il commissario (Bucci ha detto che vorrebbe rinunciarci, ma non sa se può) e ai 100mila a testa per i due vice, andranno pagati i venti dirigenti che saranno spostati dalle altre amministrazioni. Bastano i 1,5 milioni previsti? Chiedete a palazzo Chigi e al commissario, risponde la Ragioneria. E poi: chiedete al Mit se una volta trasferiti 23 milioni al potenziamento del trasporto locale di Genova resteranno i fondi per il rinnovo del contratto, chiedete al ministero del lavoro se ci sono le risorse per coprire la sospensione dei contributi previdenziali e assistenziali a Ischia… e così via per una decina di osservazioni critiche. Alcune – solo alcune, come ad esempio una stretta sulla zona franca urbana (con promessa di rimediare nella legge di bilancio) – trasformate in emendamenti della commissione bilancio che saranno votati da lunedì pomeriggio. È prevista anche una seduta notturna ed è fissato il voto finale a mercoledì.

Nessuna certezza nemmeno per la ricostruzione del ponte. Esclusa Autostrade dai lavori – ma non più da quelli di demolizione – il decreto prevede che la concessionaria dovrà comunque pagare in quanto «responsabile dell’evento». Un passaggio assai ardito dal punto di vista giuridico (oltre che logico) che sta alla base degli attuali problemi finanziari. Lo stato infatti si impegna ad anticipare queste somme, prendendo coscienza nello stesso comma dello stesso articolo che Autostrade potrebbe decidere di non pagare (mentre pende ancora la procedura per la revoca di tutte le concessioni). La spesa prevista – calcolo azzardato mancando sia progetto che appaltatore – è di 360 milioni, stanziati 30 all’anno per 12 anni. Anche su questi fondi però la Ragioneria ha trovato da ridire. E non ha messo in conto i possibili, prevedibilissimi, ricorsi.