Claudio Gemme, il commissario straordinario per la ricostruzione del ponte di Genova già incoronato a mezzo stampa, resta in attesa. La sua nomina, annunciata «a ore» del presidente Conte ieri mattina, e «mi auguro in giornata» dal vice presidente Salvini in visita a Genova, non è arrivata. A fermarla il malumore dei 5 Stelle, che con ritardo si sono accorti di aver consegnato l’incarico a un una figura con ottime relazioni con la Lega e con quelli che in queste settimane sono stati il contraltare dei grillini a Genova: il presidente della regione Toti, il sindaco Bucci e il vice ministro Rixi. In più il non trascurabile conflitto di interessi – Gemme è manager di Fincantieri, l’azienda di stato alla quale Di Maio e Toninelli hanno da tempo indicato come sicura vincitrice dell’appalto per la ricostruzione – stride con le più insistite campagne moralizzatrici a 5 Stelle.

Proprio il fatto che Gemme non si sia ancora dimesso dal suo incarico in Fincantieri, ma abbia annunciato che lo farà dopo la nomina – dopo quindi il decreto del presidente del Consiglio che ieri non è arrivato, bruciando il terzo dei dieci giorni disponibili per la scelta – non fa che confermare le difficoltà nel governo. Le diverse interviste che Gemme ha già concesso in qualità di commissario, allora, più che un passo azzardato appaiono il tentativo di dare per chiusa una partita ancora aperta. E Salvini non ha fatto grandi sforzi per nascondere i problemi sul nome che proprio lui aveva suggerito per superare lo stallo su Toti: «Non c’è stato alcun ripensamento su Gemme, da parte mia».

Il ministro dell’interno è stato assai esplicito anche a proposito delle divergenze con i 5 Stelle sui contenuti del decreto. «Si deve cambiare», ha detto tassativo al termine di un incontro con gli sfollati dalle case sotto il ponte Morandi. Non sono bastate quindi le due settimane di litigi e mediazioni seguite a quel giovedì 13 ottobre in cui il decreto «urgenze» fu trionfalmente varato dal Consiglio dei ministri. Per rivelarsi però immediatamente una scatola vuota.
Per riempirla la presidenza del Consiglio si è dovuta impegnare in lunghe trattative con gli enti locali e i due partiti della maggioranza. E non è finita perché il decreto, che da ieri è assegnato alle commissioni ambiente e trasporti della camera, sarà certamente modificato in fase di conversione.

Gli sfollati hanno chiesto a Salvini più risorse, non accontentandosi delle promesse. «Anche l’incontro con Toninelli era andato bene e poi abbiamo visto com’è andata a finire con il decreto», ha detto il presidente del comitato degli sfollati Franco Ravera. Il nodo torna a essere quello dell’esclusione di Autostrade dai lavori di ricostruzione, malgrado la società dei Benetton sia ancora la concessionaria di quel tratto autostradale, per di più obbligata a ricostruire in base alla convenzione in vigore. Per quanto moralmente comprensibile, l’ostinazione mal gestita di Di Maio e Toninelli sta provocando effetti a cascata: il primo è la necessità di coprire con risorse pubbliche la ricostruzione: sono stati individuati 360 miliardi per i prossimi 12 anni, togliendoli ai fondi per le altre infrastrutture (alla faccia del grande piano per la manutenzione delle opere pubbliche). Di conseguenza, anche gli sfollati temono che Autostrade non vorrà versare tutti i soldi in teoria destinati a risarcirli pienamente per la perdita delle case. «Vedremo di restituire ciò che è stato tolto cambiando il decreto», ha promesso Salvini, «se per questo bisognerà aumentare il deficit chi se ne frega»