Oggi Radio Onda rossa festeggia 36 anni. Da protagonista della storia e della politica, e testimone importante di questi ultimi decenni, Ondarossa non festeggerà come ogni anno in via dei Volsci, ma con due giornate di discussione intitolate «Libertà di conflitto» (al Teatro Valle Occupato) e «Sceemi, il rifiuto di una generazione», esperienze e racconti sul ’77 (domani al al Volturno Occupato con la Compagnia Controcorrente).

Questo perché da festeggiare Ondarossa ha ben poco: uno dei suoi redattori è ormai dal luglio scorso richiuso nel carcere di Perugia con una pena di 10 anni per i reati di devastazione e saccheggio in seguito alle contestazioni di Genova 2001. Iniziamo oggi dedicando a quelle giornate un convegno sul «nemico interno», con la campagna 10×100 al Teatro Valle: ordine pubblico e diritto penale da Genova 2001, insieme agli avvocati Francesco Romeo e Ezio Menzione, alla sociologa Donatella Della Porta al giurista Eligio Resta, all’Osservatorio sulla repressione e a Supporto legale.

Nei giorni di Genova Ondarossa tramite RadioGap raccontò il centro città chiuso con grate alte 8 metri, la decisone per la prima volta di costruire zone rosse off limits per i manifestanti, le cariche della polizia, la Diaz e Bolzaneto. Ma, soprattutto, nell’etere genovese echeggiarono le parole d’ordine profetiche che le piazze tematiche urlarono contro i potenti della terra: un no al potere delle banche sulla vita delle persone e il rispetto dei territori. Parole che fecero paura e scatenarono in tutta la sua brutalità la violenza del potere e successivamente della magistratura fino all’ultima decisione della Cassazione dello scorso anno.

Nelle motivazioni della sentenza dello scorso 13 luglio si legge: «L’ordine pubblico deve essere inteso come buon assetto e regolare andamento del vivere civile, a cui corrispondono, nella collettività, l’opinione ed il senso della tranquillità e della sicurezza». Un concetto elastico, dai confini incerti, giuridicamente impossibile da sottoporre a qualsiasi riscontro fattuale, che nei reati di devastazione e saccheggio svela le ragioni del loro originario concepimento: strumenti di oppressione e intimidazione dell’avversario politico come fu il regime fascista che li ha promulgati.

Non è un caso infatti che da Genova in poi tutte le lotte sociali sono state ridotte a mera questione di ordine pubblico: secondo l’Osservatorio sulla repressione ci sono stati fino ad oggi 15000 denunciati per reati vari, per non parlare dei numerosi casi accertati di uccisioni nelle strade e in carcere ad opera delle forze dell’ordine.

L’applicazione delle «zone rosse» è divenuta la norma con cui il potere politico rifugge dal confronto con la società: dalla lotta contro le discariche, ai terremotati, ai pastori, agli studenti, alle grandi opere si registra una gestione di tipo poliziesco progressiva ed inarrestabile, portato all’estremo con l’occupazione militare della Val Susa. Sempre più spesso i magistrati motivano le loro accuse sulla base della pericolosità sociale dell’individuo che protesta, non più giudicato per ciò che commette ma per ciò che rappresenta. Uno spostamento giuridico dai diritti della persona alla ragion di Stato.