Vorrei interloquire con il mio «vicino di rubrica» Sarantis Thanopulos e con Annarosa Buttarelli, che hanno firmato insieme (I genitori e il sesso degli angeli) un intervento su argomenti profondi che riguardano l’essere genitori, il linguaggio, l’origine della differenza sessuale.

Ho molto apprezzato che, su temi tanto controversi, un uomo e una donna abbiano reso pubblico uno scambio, dando la prova che una interlocuzione di questo «genere» sta diventando possibile.

Anche a me non piace la dicitura burocratica «genitore 1 e genitore 2», e mi preoccupa che posizioni di amiche femministe possano essere accomunate alle posizioni reazionarie di quei politici – come l’attuale ministro degli interni – che agitano la differenza tra uomini e donne per riaffermare un’idea di «famiglia naturale» nella quale solo la presenza di «papà e mamma» è capace di rassicurare, di fatto respingendo le donne (e anche gli uomini) nei ruoli codificati da migliaia di anni di patriarcato.

Il linguaggio però, persino quello burocratico, non cambia mai a caso, e se a un certo punto sono spuntati i «genitori 1 e 2» è perché bisogna pur vedere il fatto che oggi esistono famiglie composte da due mamme o due papà, o anche da solo una o uno che si prendono cura di figli, concepiti a volte in modo diverso da quello «naturale». I numeri da coda allo sportello «neutralizzano» ogni differenza: bisognerà esercitarsi nella ricerca di nuove formule linguistiche: sarebbe fecondo per la burocrazia e per tutte e tutti.

Un punto che mi sembra necessario chiarire, per evitare la confusione tra concezioni in realtà opposte della differenza e gli equivoci sul «genere», è come ci si pone di fronte a questi nuovi tipi di convivenza tra persone adulte e piccole creature. Affermare, come fa Annarosa Buttarelli, l’unicità della relazione materna contro ogni tendenza alla sua neutralizzazione, e considerarla l’origine della stessa esperienza della differenza sessuale, per donne e per uomini, mi sembra che anche un uomo possa condividerlo, se ci pensa un po’.

Ma credo che si debba provare a dire qualcosa di più – compete a noi maschi, ma non solo direi – sulla differente relazione paterna.

Non sono un antropologo né uno psicologo ma mi sembra vero che noi uomini siamo stati ancestralmente turbati e ammaliati dalla certezza corporea e simbolica della maternità, provandone anche molta invidia (altro che invidia femminile del pene!). E la relazione «astratta» con i nostri figli ha prodotto molte cose pessime. Il nostro corpo non è direttamente coinvolto dalla procreazione: eppure c’è qualcosa che ha intimamente a che fare con il nostro corpo in quelle particelle di liquido che contribuiscono alla formazione di un nuovo essere umano. Me ne accorgo in qualche modo quando guardo mia figlia e mio figlio.

Oggi molti padri cercano un rapporto diverso, più stretto e corporeo, con figli e figlie. Su questi desideri – per quanto contraddittori, spesso contaminati da antiche pulsioni «proprietarie» – gioca la politica strumentale della legge Pillon. Una risposta diversa può essere efficace se il nuovo desiderio di paternità, non solo «normativa» e invece incline alla cura, che si affaccia sulla scena della sessualità viene riconosciuto, e incoraggiato verso comportamenti che rompano con gli stereotipi patriarcali, e le pulsioni misogine e omofobe che si portano dietro.

Una cosa che riguarda prima di tutto noi uomini, ma che potrà funzionare solo se lo scambio continuerà non a sesso unico. Come Annarosa e Sarantis ci indicano.