È la Mostra dei bambini, ancora in grembo, desiderati o indesiderati, nati, venduti, persino divorati. Mai prendere troppo sul serio i fili rossi che cercano di annodare l’uno all’altro i film di un festival, si entra e si esce dalle sale e le coincidenze, talvolta, si rischia di scambiarle per regole. Di fatto, però, si potrebbe aprire un vero e proprio dibattito, grazie a una decina di titoli e forse qualcuno di più, sugli immaginari contemporanei che riguardano maternità e paternità, essere figli o non esserlo, tra eccessi di cura e trascuratezze imperdonabili. Nella sezione Orizzonti tra i film in concorso spiccano due titoli agli antipodi e non solo per questioni geografiche e climatiche.

Da un lato, l’opera prima australiana West of Sunshine di Jason Raftopoulos, padre afflitto dai debiti e col debole per le scommesse e figlio in cerca di attenzioni fin troppo paziente nei confronti di un genitore così infantile; dall’altro, La nuit où j’ai nagé, per la regia di Damien Manivel e Igarashi Kohei, un francese e un giapponese (che si sono incontrati a Locarno nel 2014), intenti a pedinare un bambino nel suo quotidiano e a ritrarre un paesaggio totalmente innevato (Aomori), all’apparenza ostile per la precarietà degli appoggi concessi e, al tempo stesso, candido e avvolgente, protettivo col piccolo protagonista che tutti i giorni intraprende in totale solitudine il percorso che lo conduce da casa a scuola e viceversa. Il padre, intanto, prima dell’alba si dirige verso il mercato, luogo dove lavora per mantenere una famiglia che probabilmente lo considera un fantasma, responsabile, ma pur sempre invisibile.

Due film che richiamano a immaginari noti. In West of Sunshine, il padre separato, è presente, almeno per un giorno intero, e però disperato e distratto dal dover trovare una via di fuga per non soccombere definitivamente a chi gli ha concesso un prestito mai saldato. Il romanzo di formazione, per certi versi, riguarda più l’adulto che il ragazzo, semplicemente in attesa di un segnale, di un’attenzione.

Ne La nuit ou j’ai nagé l’assenza è forzata, determinata dalla necessità di continuare a stare al mondo. Per chi si è piacevolmente immerso nella biblioteca pubblica di New York ripresa da Frederick Wiseman, dove le distanze tendono a restringersi per la volontà comune di istituire convivenze, calarsi nel paesaggio del piccolo Kogawa Takara potrebbe risultare scioccante. Improvvisamente il mondo si trasforma in un luogo che accoglie ma dove le tracce dell’esistenza si perdono nel ciclo della vita. E lo stare insieme prende la forma di un’idea per un disegno e per un sentimento condiviso con spettatori lontani.