In questi giorni, e fino al 28 aprile a Torino, è in corso il convegno internazionale “Culture Indigene di Pace. Ri-educarsi alla Partnership!” proposto dall’Associazione Culturale Laima (vedi programma e informazioni) Tra le ospiti, la scrittrice e ricercatrice americana Genevieve Vaughan principale esponente della teoria socio-economica basata sulla logica materna del dono. La prima domanda che le faccio è in che modo la sua teoria, contrapposta all’economia di scambio, rappresenti un vero e proprio paradigma o visione del mondo.

“Donare crea relazioni positive tramite la soddisfazione diretta dei bisogni, genera fiducia, comunicazione e comunità, è orientato verso l’altro e dà valore all’altro. Lo scambio do ut des è invece dare per ricevere, soddisfare il bisogno dell’altro per far soddisfare il proprio dall’altro. Questo è orientato verso l’io e dà valore all’io spesso anche a spesa dell’altro. La logica dello scambio è quella che regge il mercato e crea rapporti di avversione e competizione, che crea relazioni negative che fomentano l’isolamento, la competizione, la guerra e il dominio. Sono due logiche diverse, una transitiva e l’altra intransitiva”.

Spesso rappresentate rispettivamente come contro e secondo natura.

Molti studiosi – Derrida, Lyotard e altri – dicono che il dono unilaterale non esiste e che c’e sempre qualche premio per l’io di chi dona. Penso che invece le madri debbano dare unilateralmente ai figli e per molto tempo perché i figli piccoli non possono restituire in cambio qualcosa di equivalente. Tutti noi nasciamo in un’economia del dono: è appurato che i bambini non capiscano lo scambio di mercato fino a 4-5 anni. La logica del dono viene prima di ogni nuova vita, ed è una vera e propria modalità di distribuzione al pari dello scambio. Nella nostra società sono quasi soltanto le donne a praticarla, perché sono loro che curano i bambini piccoli. In altre, particolarmente in quelle matriarcali, anche gli uomini lo fanno (i fratelli delle madri) o anche interi villaggi. Sto insomma parlando di una pratica sociale.

Lasciare l’economia del dono nell’ambito privato, o relegarla alla carità e al volontariato, è un trucco per non renderla efficace, per nasconderla e non considerarla degna di manifestarsi e funzionare anche altrove (leggi qui il libro).

La separazione tra “famiglia” e “lavoro”, della sfera privata e di quella economica, ha focalizzato il dono nell’ambito della famiglia e sta alla base della squalifica delle madri e delle donne in generale nelle nostre società. Riconoscere il dono o  il materno solo nell’interazione madre/figlio, considerarlo inferiore e un compito biologicamente definito delle donne (opposto alla varietà del mercato e della proprietà) ci porta ad astrarre da questa area limitata una “qualità comune” di altruismo opposto all’apparente varietà di qualità provenienti dal mercato e dai valori dell’agenda dell’identità maschile che sono stati incarnati nel mercato – indipendenza, egocentrismo, competizione, dominazione, accumulazione.

Che rapporto c’è tra capitalismo e patriarcato?

Lo scambio di mercato non è naturale, reale o necessario, è un’invenzione del patriarcato. Penso che il patriarcato e il mercato si siano uniti e che i valori di competizione e indipendenza, il desiderio di primeggiare, l’uno sopra i molti, abbia fornito una motivazione in più per accumulare danaro e beni quasi all’infinito. Il capitalismo permette al patriarcato di giocare i suoi ruoli di dominio su un terreno impersonale, fuori dalla famiglia. Permette anche a nazioni e a corporazioni di assumere questi ruoli. Nel patriarcato le donne spesso sono state costrette a nutrire quelli che li opprimevano. Ora questo viene fatto a livello internazionale con i paesi poveri che nutrono le corporazioni dei paesi ricchi.

Come possiamo dunque praticare un’economia del dono, fuori dagli spazi privati?

Il donare può essere riabilitato nel nostro pensiero. Per esempio lo stesso profitto può essere visto come un dono dai poveri ai ricchi perché è costituito dal plus-valore, quella parte del valore del lavoro che non è corrisposto nei salari dei lavoratori. Il lavoro delle donne in casa, che aggiungerebbe punti di PIL, se fosse calcolato in termini monetari, potrebbe essere visto come un regalo di coloro che praticano l’economia del dono a coloro che praticano l’economia dello scambio e a tutto il sistema che si basa sullo scambio. D’altra parte ci sono moltissime iniziative contemporanee che si muovono verso un’economia del dono: internet è ancora una zona relativamente libera, anche se sottoposto a tentativi di mercificazione intensiva. Wikipedia è un buon esempio di economia ben riuscita del dono. Purtroppo, ciò che si fatica a riconoscere è il legame di queste attività con le donne e il  materno

Una maggiore presenza delle donne nei luoghi in cui si decidono le cose potrebbe essere un buon inizio per il cambiamento?

E’ importante che le donne  siano riuscite a liberarsi almeno in parte dall’oppressione patriarcale, dalla schiavitù domestica e dai ruoli tradizionali. Però ci siamo liberate dentro al mercato e non dal mercato. E da questo luogo è difficile trovare un punto di vista radicalmente diverso. Questa settimana il presidente Obama è stato a cena con le sue 20 senatrici per discutere di budget. Il fatto è positivo, ma credo che la proposta delle senatrici non andrà nella direzione di un grosso cambiamento di rotta. Malgrado questo e anche se probabilmente sempre dentro il paradigma dello scambio, credo che le donne dentro le istituzioni, specialmente se mantengono valori alternativi, possano operare trasformazioni importanti.

@glsiviero