Erasmus compie 30 anni. Il programma di scambi, che non riguarda solo gli studenti universitari ma anche gli insegnanti, gli allievi della scuola secondaria e dell’obbligo, le scuole professionali e ultimamente il volontariato, è senza dubbio uno dei grandi successi dell’Europa.

Anche se finora ha coinvolto solo una piccola parte dei cittadini: 5 milioni di persone fanno parte della «generazione Erasmus», tra cui 3,3 milioni di studenti, vi partecipa ogni anno il 7% dei giovani europei.

ALLA GIORNATA di celebrazione dei 30 anni, all’Odéon-Théâtre de l’Europe, questa settimana a Parigi, il ministro francese degli Affari europei, Harlem Désir, ha sottolineato che «17 miliardi su mille miliardi (di budget della Ue, ndr) sono insufficienti per quest’arma di cittadinanza di massa». Il ministro italiano, Sandro Gozi, ha ricordato che «con 50 miliardi gli scambi potrebbero venire decuplicati», insistendo sull’importanza per la Ue di investire nel «capitale umano». La ministra dell’Educazione, Najat Vallaud Belkacem, ha insistito sul ruolo di Erasmus come «educazione alla cittadinanza».

Belle parole, che contrastano con il fatto che nel 2012 Erasmus ha sfiorato la morte perché i finanziamenti europei erano minacciati dall’austerità dei conti.

NEL 2014 ERASMUS è diventato Erasmus+, con competenze allargate, per rispondere alla critica di essere un programma riservato all’élite, ormai è aperto anche alle filiere professionali e al volontariato. Il finanziamento, per il periodo 2014-2020, è salito del 40% rispetto al 2007-2013. Per il 2020 è prevista la piena applicazione dei programmi di scambio anche nell’ambito della formazione professionale.

Oggi, Erasmus+ riguarda 33 paesi partecipanti: al di là dei 28 della Ue – la Gran Bretagna è ancora dentro per il momento – ci sono la Macedonia, l’Islanda, il Liechtenstein, la Norvegia e la Turchia, mentre in Svizzera il programma è stato sospeso nel febbraio 2014, dopo il referendum contro l’immigrazione, che impone quote agli europei per lavorare nella Confederazione.

Erasmus si è allargato al di là della Ue e conta 169 paesi-partner nel mondo. Nel corso di trent’anni, Erasmus ha permesso di favorire gli scambi tra università, ha spinto l’insegnamento superiore a lavorare assieme, ad armonizzare i percorsi e a democratizzare gli scambi.

Diverse inchieste in vari paesi hanno messo in luce che i datori di lavoro guardano con favore questi scambi, che permettono non solo di ampliare le competenze, a cominciare da quelle linguistiche, ma anche di aprire le mentalità.

COME IN TUTTO NELLA UE, ci sono pesantezze di organizzazione. Le università devono stabilire dei legami con strutture all’estero per permettere ai propri studenti di accedere a Erasmus. G

li studenti si iscrivono nella loro università e non devono pagare iscrizioni in quella dove scelgono di passare qualche mese o anche un anno di studi. Erasmus+ propone delle borse di studio, modulate a seconda del costo della vita nel paese di destinazione.

Così si è passati da 160 euro al mese di qualche anno fa a 150-400 euro di oggi, cifre che possono addizionarsi alle borse di studio nazionali, ma che restano evidentemente insufficienti per vivere, soprattutto in alcuni paesi dell’Europa occidentale (la media oggi è di 274 euro).

Gli studenti che fanno uno stage all’estero hanno diritto a 150 euro supplementari. Gli studenti in master possono chiedere un finanziamento alla Bei (Banca europea di investimenti).

Secondo gli ultimi dati, il 35% degli studenti Erasmus+ sono borsisti. Con Erasmus+, gli scambi sono usciti dallo stretto quadro universitario e scolastico, per aprirsi allo sport (Erasmus+ Gioventù e Sport) e al volontariato per adulti (Servizio volontario europeo).

L’età media degli «Erasmus» è di 23 anni, la durata media di soggiorno all’estero è di sei mesi, il 61% dei partecipanti sono ragazze. Il 67% parte durante la Licenza, il 29% durante il Master ma solo l’1% nel periodo di dottorato.

Come campo di studi, a viaggiare di più sono gli studenti in economia, business e diritto (31%), percentuale che scende al 17% per le scienze umane e l’arte ed è ancora più bassa per il settore scientifico (ma qui interviene una maggiore rigidità nei programmi delle varie università e una diffidenza palese da parte delle strutture più qualificate, che non si fidano dei crediti ottenuti all’estero).

La Spagna è in testa alle scelte degli studenti Erasmus, anche grazie a un costo della vita più abbordabile (ma anche gli studenti spagnoli sono in testa per gli studi all’estero).

La Gran Bretagna è tra i paesi finora più ricercati, ma il futuro è incerto, a causa della Brexit e già l’università di Cambridge ha rilevato un calo del 14% delle domande per il 2017.

Germania, Francia, Italia, Svezia, Polonia, Olanda, Portogallo e Belgio sono tra le destinazioni favorite.

ERASMUS HA UNA LUNGA STORIA. La prima idea è del ’71, quando i ministri dell’Educazione dell’allora Comunità europea si accordano sul principio di cooperazione nel campo dell’istruzione (a promuovere l’idea, all’inizio è un funzionario della Commissione, l’italiano Domenico Lenarduzzi, incaricato dell’istruzione).

Nel ’76 viene stabilito un primo «programma di azione» per rafforzare i legami tra paesi membri. Dall’81 all’83 iniziano i primi scambi-pilota.

Nell’83 nascono le partnership tra università, con il riconoscimento dei periodi di studi all’estero. Ma per l’equivalenza effettiva dei diplomi bisognerà aspettare il 2005 (decisione del Consiglio di Berlino del 2003, conclusa tra 40 paesi, Ue e non Ue).

Erasmus (EuRopean Action Scheme for the Mobility of University Studies, che nell’acronimo prende il nome dall’umanista olandese che a cavallo tra il XV e il XVI secolo viaggiò in Europa promuovendo la pace) nasce ufficialmente il 15 giugno ’87 e allora riguarda solo 11 paesi (con un bilancio iniziale di 85 milioni di euro su 15 anni).

Il primo anno, solo 3.200 studenti vi partecipano. Il Trattato di Maastricht nel ’92 prevede maggiori contributi comunitari per l’istruzione e la formazione professionale.

Nel ’99, 29 paesi (Ue e non Ue) firmano la Dichiarazione di Bologna per istituire uno spazio europeo di insegnamento superiore all’orizzonte 2010, che verrà confermato al Consiglio di Barcellona nel 2002 con il programma «Istruzione e formazione 2010».

La formazione professionale era entrata nel 2000 nel programma, almeno sulla carta e nel 2002 l’Europa celebra lo «studente Erasmus» numero mille. Dal 2004, con Erasmus Mundus, il programma si estende a paesi partner extraeuropei.

IL PROGRAMMA ERASMUS piace agli europei. Chi vi ha partecipato conserva buoni ricordi, inchieste di opinione danno un tasso di gradimento addirittura al 100%.

Al di là dell’Auberge Espagnole (titolo del film di successo di Cédric Klapisch del 2002), molti partecipanti insistono sulle maggiori possibilità che Erasmus ha dato loro di trovare un lavoro, non solo all’estero ma anche nel paese d’origine.

C’è anche la favola del «milione di bébé Erasmus», che sarebbero nati grazie agli incontri favoriti dal programma di scambi universitari.

Secondo un’inchiesta realizzata dalla Commissione nel 2014, risulta che il 27% della «generazione Erasmus» ha trovato un compagno/a nel corso del soggiorno all’estero, con una conferma del milione di neonati: «secondo le stime della Commissione, risulta che circa un milione di bébé sono verosimilmente nati da coppie Erasmus dal 1987».