Abbiamo incontrato nella sua minuscola casa all’ultimo piano di un palazzo popolare del quartiere di Heliopolis al Cairo, il più sorprendente tra gli scrittori egiziani, Sonallah Ibrahim, 77 anni. Marxista, autore tra l’altro di Warda (2000) e Americanli (2005), dove racconta dello straniamento di un intellettuale egiziano negli Stati Uniti, Ibrahim, militante del Movimento democratico per la liberazione nazionale, nel 2003 ha rifiutato un premio letterario, pari a 100mila ghinee (12mila euro), in polemica con il ministero della Cultura, controllato dal Partito nazionale democratico dell’ex presidente Hosni Mubarak.

Ha mai pensato di scrivere della rivoluzione egiziana del 2011?

Per ora mi occupo di altro, il mio prossimo lavoro sarà Berlino ’69: racconterò come ha celebrato i venti anni di esistenza la Germania dell’Est. E poi mi sto accordando per alcune traduzioni in italiano dei miei ultimi libri.

Preferisce usare il dialetto o l’arabo classico?

Come di consueto, uso uno stile semplice, non mi dilungo in descrizioni prolisse, utilizzo la lingua araba classica che può essere capita da tutti, dall’Algeria all’Iraq, inserendo parole in dialetto. Questa è una lezione che posso dire di aver imparato da Ernest Hemingway.

Ci racconta gli anni che ha trascorso in prigione durante la presidenza di Gamal Abdel Nasser?

Dove ora sorge il museo della polizia, a due passi dalla Cittadella di Saladino (Qala), si trovavano le celle degli squadroni inglesi di occupazione per la detenzione dei prigionieri politici. Venni arrestato il primo gennaio del 1959 e condotto in quelle carceri insieme ad altri compagni. Ancora oggi, tra i cimeli mamelucchi (tra cui una scultura di un prigioniero reale tenuto per i piedi): si vedono le sbarre dietro le quali eravamo detenuti: noi, gli ultimi prigionieri politici dei tempi moderni, e prima i prigionieri dell’occupazione britannica. Nasser era all’apice della sua gloria popolare, dal 1956 aveva iniziato l’egizianizzazione delle aziende in mano agli stranieri per mettere in pratica il nazionalismo arabo. Il suo scopo era quello di avere un partito unico con un leader forte, i comunisti siriani e iracheni lavoravano invece sull’idea di democrazia, come possibilità per partecipare alla costruzione politica.

Su questo tema, il partito comunista egiziano, meno forte dei partiti dei paesi vicini, si spaccò. Alcuni volevano porre l’idea di democrazia, che significa partecipazione, al di sopra del consolidamento del potere di Nasser. Altri ponevano la democrazia al secondo posto. E così Nasser avviò nel 1959 la sua campagna contro i comunisti e arrestò chi appoggiava sia il primo sia il secondo orientamento. Anche io, nonostante fossi suo sostenitore, venni messo in cella. E vi rimasi per cinque anni.

Qual è il suo giudizio sul nasserismo?

Nasser ha fatto grandi passi per realizzare la sua idea di socialismo. Ha iniziato senza un’ideologia precisa se non quella di difendere gli interessi egiziani dalla penetrazione straniera. Amava il culto della personalità e non gli interessava creare competizione politica. Passati i cinque anni in cella, Nasser rilassò il suo controllo sulla scena politica e promosse un’amnistia. Fu allora che pubblicai il mio primo libro, che in parte avevo scritto in prigione. I prigionieri politici venivano torturati più crudelmente durante il regime di Nasser che all’epoca dell’occupazione britannica.

Lei è tra i fondatori del gruppo di opposizione al regime di Mubarak Kifaya (Basta!), nato nel 2005: è l’epigono delle proteste di piazza Tahrir?

Nel 2005, c’erano quattro giovani che protestavano di fronte all’Alta corte del Cairo contro l’estensione del mandato di Mubarak o la successione della presidenza ai suoi figli. Quando la polizia arrivava in quei cortei rideva, perché non credeva che rappresentassero qualcosa. Invece il movimento è andato avanti fino al 25 gennaio 2011. Scrittori come Alaa al Aswany, Ahmad Mourad e Alaa al Aidy, scrittrici come Donia Kamal, insomma questa generazione di intellettuali che è stata a Tahrir, ha ottenuto molto.

Ha partecipato alle rivolte?

L’11 febbraio 2011 (giorno delle dimissioni di Mubarak, ndr) sono stato a piazza Tahrir. Ho raccontato alla radio tedesca la mia giornata. La mattina c’era un senso di sconfitta che gradualmente si è trasformato in festa. Ho partecipato poi alle manifestazioni di Ittihadeya (palazzo presidenziale, contro Morsi – 2012 – e contro esercito e Fratellanza – 2013, ndr).

Crede che Sisi possa essere un nuovo Nasser?

Era solo un esponente della leadership militare fino a pochi mesi fa. Sappiamo che ha guidato l’azione del 30 giugno 2013 e non ha ascoltato le richieste che venivano da Washington, ma si è recato a Mosca. Queste tre iniziative hanno cambiato molte cose nel mondo arabo e sulla scena internazionale. L’Egitto ora potrebbe unirsi al Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg): cosa impensabile fino a pochi anni fa. Tutti possono fallire in questo momento, mentre la clique di Mubarak continua ad avere il controllo economico del paese. Gli egiziani hanno sempre avuto cattive relazioni con gli Stati Uniti dall’epoca di Nasser. Gli Usa, prendendo il posto degli inglesi nel Medio oriente, volevano che l’Egitto, con la Turchia e il Pakistan, formasse un asse anti sovietico. Nel 1973 gli Stati Uniti hanno salvato con i loro mezzi militari Israele e poi hanno imposto il loro volere su Mubarak. Ci hanno anche invaso con il loro cinema e le loro sit-com…

Eppure l’esercito si è macchiato di gravi crimini…

Dopo il 25 gennaio 2011 massacri e atrocità sono stati compiuti dai militari, come la strage della televisione di stato (Maspiro, ottobre 2011, ndr) e via Mohammed Mahmud (manifestazioni contro il Consiglio supremo delle Forze armate, novembre 2011, ndr). Questo dimostra che ci sono contraddizioni interne e che la polizia continua ad agire per attuare la vendetta della vecchia gerarchia: questo è avvenuto contro gli Ultras a Port Said (2012). Questa contraddizione si è riprodotta anche nello sgombero del sit-in islamista di Rabaa al Adaweya (agosto 2013).

Mentre i Fratelli musulmani hanno fallito nel loro anno di governo…

I Fratelli musulmani sono dei reazionari. Il loro controllo ideologico e organizzativo della maggioranza è pericoloso: non ha nulla a che vedere con la modernità. La Fratellanza è implicata nei piani finanziari delle banche imperialiste e delle grandi multinazionali. Sono capitalisti arretrati e non hanno relazione con il loro tempo.

C’è spazio per una terza via, laica e secolare?

Il movimento popolare non è forte abbastanza per promuovere il cambiamento. Non è organizzato. Eccetto il politico comunista Khaled Ali, la sinistra non lavora tra la gente.

Cosa vuol dire essere comunisti in questo momento?

Secondo me, comunista vuol dire lavorare con la gente. La sinistra egiziana è frammentata, io sostengo l’Alleanza socialista (Tahluf Ishtiraki, che ha scelto Hamdin Sabbahi come candidato alle presidenziali). Mentre considero sbagliato l’accordo tra socialisti rivoluzionari, guidati da Hossam el Hamalawi, e Fratelli musulmani (in seguito alla strage di Rabaa al Adaweya dell’agosto 2013, ndr). I comunisti che si alleano con gli islamisti sono dei bambini del marxismo.