«Eravamo nella zona delle betulle, quel giorno, dietro a un drappello di alberi foltissimi. Ad un certo punto, sulla cima più alta, tra il fogliame, è spuntata lei. Che si è messa a divorare le ciliegie, di cui è ingorda. Che spettacolo». Davide e Giuseppe Cetrone sono fratelli, ingegneri, che vivono tra Scanno e Sulmona, nell’Aquilano, e passano il proprio tempo libero nella natura, con macchinette fotografiche e telecamere. Uno dei soggetti più “cliccati” è Gemma, la mitica, l’orsa delle apparizioni tra cortili, giardini e vicoli del borgo di Scanno.

«Non siamo noi a cercarla – puntualizza Davide -, è intraprendente. Un tempo – racconta – bazzicava soprattutto nella zona di Villalago (Aq) per il miele. Adesso le sue abitudini sono un po’ cambiate, preferisce la vicina Scanno. Ricordo quella volta che ci siamo affacciati, perché i cani abbaiavano, e lei era lì, sotto casa, dentro un pollaio di legno e rete che aveva sfrangiato. I cuccioli aspettavano fuori. Ha catturato una gallina e l’ha portata ai piccoli, è rientrata e ne ha preso un’altra. Poi ha sentito dei rumori: era il contadino che si avvicinava. E’ corsa via, verso i boschi, con i cuccioli al seguito, con le galline in bocca… La vedi, sta per ore nascosta, aspettando il momento buono per sgusciare lontano o entrare in azione, o eludere, attentissima, i forestali che arrivano per proteggerla quando le sue incursioni fanno stizzire…». Gemma è uno degli esemplari di orso bruno marsicano più seguiti, ed è celeberrima. «Le sue visite in paese – continua Davide – attirano turisti. Ci sono i curiosi e ci sono quelli che la temono, pur se non è mai stata aggressiva: si fa i fatti suoi e basta… Si avventura da queste parti perché, secondo gli esperti, trova facilmente il cibo e sa come procurarselo: girando tra orti, stalle, piante da frutto».

Pochi mesi fa una petizione, con 613 firme sui circa duemila residenti di Scanno, ne ha chiesto la cattura. Dopo la raccolta firme, in estate, l’orsa è sparita e si è temuto il peggio, anche per il rinvenimento su alcuni rami del radiocollare che indossava. Poi sono state ritrovate le sue tracce tra arnie e terreni coltivati: sospiro di sollievo. Ad immortalarla, in un recentissimo video notturno, il veterinario Emino Galante che assicura: «È innocua. Si è trovata anche faccia a faccia con gente e non ha mai mostrato segnali di violenza». Quando una volta l’hanno beccata ad assaltare una porcilaia in prossimità del centro abitato di Scanno – aveva già sfondato una finestra e tirato fuori un maialino – ha mollato la preda ed è fuggita, senza reagire.

Gemma, Peppina, Yoghi e gli altri

Capita che scorribande e assalti facciano infuriare taluni, ma Gemma, orsa confidente, è sotto sorveglianza. Inoltre i residenti danneggiati da lei o dai suoi simili ottengono sempre il rimborso e l’Ente Parco ha anche distribuito, con l’aiuto della Forestale, recinti elettrici che emettono scosse per difendere abitanti e pollai e non fanno male al plantigrado. Gemma è un esemplare importante nella popolazione di orsi più a rischio al mondo. È una femmina prolifica e per ciò la sua esistenza e la sua salvaguardia sono ritenute fondamentali.

«Di orso bruno marsicano – spiega Stefano Orlandini, presidente della Onlus “Salviamo l’orso”, con sede a Montesilvano (Pescara) – si contano circa 50 esemplari (l’ultima forchetta statistica dà 47-62). Sono almeno vent’anni che la specie rimane pericolosamente sull’orlo dell’estinzione ed è allarme, a livello internazionale. In tana tra dicembre e gennaio, – prosegue – le femmine mettono al mondo da uno a tre cuccioli che pesano alla nascita da 200 a 500 grammi. L’alto valore nutrizionale del latte materno consentirà la rapida crescita degli orsacchiotti. Poiché resta per un paio d’anni con la prole, con cui passa almeno l’inverno e la primavera seguenti, la femmina partorisce in genere solo ogni 3-4. Tutti questi fattori, insieme a un’alta mortalità registrata, in una piccola popolazione residuale, rende il numero delle femmine fertili un elemento chiave per la sua sopravvivenza a medio-lungo termine».

Una specie unica al mondo

Di “Ursus arctos marsicanus” parlò per la prima volta, nel 1921, Giuseppe Altobello, un naturalista molisano. Alcuni ultimi studi morfologici confermano che si tratta di una specie unica al mondo, dunque ancora più preziosa. «L’enorme pressione esercitata dalle attività umane, – fa presente Orlandini – unita alla progressiva erosione e frammentazione del territorio (con asfalto, impianti da sci, tagli delle foreste e scellerati impianti eolici) hanno confinato l’habitat di questo animale quasi esclusivamente alle montagne dell’Appennino Centrale (Abruzzo, Lazio e Molise), caratterizzate da minore disturbo e dalla disponibilità di risorse alimentari sufficienti al sostentamento.

La maggior parte della popolazione di orso marsicano si concentra nel Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm), nella cosiddetta “core area“, e nella sua Zpe (Zona di protezione esterna)». Individui isolati, in genere giovani maschi, si spostano, con una certa frequenza verso altre zone verdi d’Abruzzo, quali prima di tutto il Parco Nazionale della Majella, la Riserva regionale del Monte Genzana ed il Parco regionale del Sirente-Velino. Ad oggi le uniche riproduzioni certe avvengono nel Pnalm. Segnalazioni di orso sono arrivate dal Gran Sasso e dagli Ernici Laziali fino ai Simbruini e dal Parco dei Sibillini (confine Umbria-Marche) a testimonianza delle numerose aree che potrebbe accogliere la specie. Ma anche dalla vallata del Sangro (Ch) – a Pizzoferrato e nell’Abetina di Rosello – dove, tra gli altri, pare bazzichi Mario: perché questa è la regione dove quasi tutti gli orsi hanno un nome.

Sos: tra disinteresse e scarsa tutela

«La prima minaccia alla sopravvivenza della specie, che rischia di scomparire, – attacca Orlandini – viene dal disinteresse e dalla mancanza di azioni incisive da parte della Regione Abruzzo e del ministero dell’Ambiente che, negli ultimi sei-sette anni, dopo essere stati tra i firmatari del Patom (Piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano) niente hanno fatto per attuare iniziative e prescrizioni da esso dettate». Salvo poi alzare la voce e rilasciare inutili dichiarazioni stampa quando vengono rinvenute carcasse di animali in putrefazione. «La seconda – rimarca -, in parte legata alla precedente, è l’inefficacia dell’azione degli organi del Pnalm a cui va aggiunto il menefreghismo di quasi tutti gli enti locali. Semplici iniziative, che sarebbero fondamentali, non vengono quasi mai adottate: vaccinazione e rimozione del bestiame domestico dalle aree di riserva integrale, chiusura delle strade, sorveglianza più efficace, installazione di cartellonistica».

Tra le principali cause di morte dell’orso marsicano ci sono il bracconaggio ed “errori” durante le battute di caccia. Per queste ragioni tra il 1977 e il 1986 ci sono stati 15 orsi uccisi, mentre tra il 1991 e il 2000 ne sono stati contati 19. Poi ecco l’utilizzo dei bocconi avvelenati «per la bonifica dei predatori», soprattutto nelle aree dei tartufi o nelle zone da allevamento. Così l’orso Bernardo e la sua famiglia sono stati sterminati nel 2007 quando una carcassa di capra fu imbottita di un potente insetticida e usata come esca. Non mancano gli incidenti stradali, dopo alcuni investimenti negli anni ’80 avvenuti per impatto con il treno. Una femmina di orso è stata falciata, dalle auto in corsa, su un rettilineo della statale 83 “Marsicana” appena fuori l’abitato di Pescasseroli (Aq) nel maggio 2011, mentre altri due esemplari hanno trovato la fine nel 2013 a Tornimparte, sulla A24, e sulla strada tra Anversa e Villalago, sempre in provincia dell’Aquila.

E’ stato, infine, accertato che almeno l’80% delle patologie pericolose per l’orso provengono dal bestiame domestico o da cani randagi (brucellosi, cimurro, parvirosi ed epatite infettiva canina, tubercolosi bovina). Proprio nei giorni scorsi un allevatore di Gioia dei Marsi (Aq) è stato denunciato per aver intenzionalmente liberato 27 mucche in quarantena perché infette da tubercolosi bovina.

«Ministero e Regioni – evidenzia Legambiente per bocca dei presidenti dei Comitati regionali di Abruzzo, Lazio e Molise, Giuseppe Di Marco, Roberto Scacchi e Mariassunta Libertucci – debbono passare dalle parole ai fatti: individuare nella tutela dell’orso una priorità del Paese, rafforzare le aree protette e assegnare risorse, finora negate, alla salvaguardia del plantigrado, simbolo della biodiversità italiana. Bisogna dare seguito a provvedimenti legislativi e strumenti da un pezzo individuati ma mai operativi». «Dal 2010 – sottolinea Donatella Bianchi, presidente Wwf Italia – sono 13 gli orsi marsicani uccisi nel Centro Italia e il risultato è che in 4 anni abbiamo perso un quarto degli esemplari esistenti ( in un anno il 10%). Le istituzioni, finora, si sono dimostrate incapaci di intervenire, con strategie e competenze degne del valore di questa specie. È una situazione di crisi che richiede provvedimenti eccezionali ed urgenti».