A completare ieri sera la giornata nera di Benyamin Netanyahu è stato il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest. Al premier israeliano che sperava nel mea culpa degli Stati Uniti per la partecipazione del Segretario di Stato John Kerry ai negoziati di Ginevra sul programma nucleare iraniano, Earnest ha detto che le critiche di Tel Aviv a un eventuale accordo provvisorio con Tehran sono «premature». E per placare la tensione ha aggiunto che Stati Uniti e lo Stato di Israele sono uniti nell’intenzione di impedire all’Iran di dotarsi di armi atomiche.

La decisione presa all’ultimo minuto da Kerry di andare a Ginevra è uno schiaffo al premier di Israele che ieri mattina aveva aperto un intenso fuoco di sbarramento per bloccare l’eventuale intesa tra Iran e potenze del 5+1 (paesi membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania). «Gli iraniani devono proprio essere soddisfatti…Volevano un allentamento delle sanzioni dopo anni di pressioni, e lo ricevono. D’altra parte non pagano un prezzo, perchè non riducono in alcun modo la propria capacità di produrre uranio», ha detto Netanyahu, esortando  Kerry a non firmare alcuna intesa con Tehran.  Il segretario di stato si è limitato a rispondere che (almeno fino a ieri sera) restavano da risolvere  importanti differenze con l’Iran. Qualche ora dopo Kerry ha incontrato il ministro degli esteri iraniano Mohammad Javad Zarif. Il dialogo tra Washington e Tehran prosegue nonostante la scomunica israeliana.

Netanyahu, alla guida dell’unica potenza nucleare (segreta) del Medio Oriente, sente che Israele sta perdendo la partita diplomatica. Sa che il compromesso tra l’Iran e il gruppo 5+1 congelerà il piano di attacco israeliano contro Tehran. Senza la copertura occidentale, e in particolare degli Stati Uniti, Israele difficilmente oserà agire da solo. A mettere in allarme Netanyahu è stata anche l’intervista data alla Nbc da Barack Obama, nella quale il presidente Usa si dice convinto della possibilità di un accordo in più fasi con l’Iran in cambio di una «revoca molto modesta» delle sanzioni economiche». Oltre all’Iran c’è anche la «terza Intifada» palestinese a rovinare la digestione al premier israeliano. Kerry l’ha ipotizzata, giovedì sera durante una intervista televisiva, come conseguenza del fallimento delle trattative. Netanyahu ha trasecolato anche perchè aveva già dovuto digerire la “scomunica” dell’espansione delle colonie israeliane fatta dal Segretario di stato nel corso della visita a Gerusalemme e Betlemme a inizio settimana.

A una ventina di chilometri dall’ufficio del premier israeliano, sull’altro versante della linea verde, nel frattempo cresce lo sdegno per la conferma parziale della tesi dell’avvelenamento con il polonio dello scomparso presidente palestinese Yasser Arafat, giunta da esperti svizzeri e russi. «Israele è l’unico e il solo che deve essere sospettato della morte di Arafat», ha tuonato ieri a Ramallah Tawfiq Tirawi, della Commissione di inchiesta dell’Autorità nazionale palestinese. «Quello che è sicuro, è che il leader storico dell’Olp non è morto di cause naturali, per una malattia o più semplicemente di vecchiaia», ha spiegato a sua volta Abdullah Al Bashir. Secondo il team degli esperti russi, ha detto Bashir, non ci sono abbastanza prove che la morte di Yasser Arafat «sia stata causata dall’esposizione al polonio 210», mentre gli svizzeri «supportano moderatamente la teoria dell’avvelenamento dall’agente radioattivo». In ogni caso – ha concluso – «quello che è sicuro è che il leade dell’Olp non è morto di cause naturali».