Se per pasqua non arriva un miracolo di quelli veri, Sergio Mattarella aprirà le consultazioni al buio più profondo. Anche lo spiraglio che si era aperto la settimana scorsa e che lasciava intravedere una soluzione, il che per il presidente è comunque meglio di nessuna soluzione, si è richiuso con la velocità del lampo. Matteo Salvini vede nuove elezioni probabili al 50% e si sa che l’uomo è ottimista per carattere.

Luigi Di Maio insiste con le sue due condizioni pregiudiziali: se stesso a palazzo Chigi e Berlusconi il più lontano possibile. Probabilmente non può fare altro: una base nutrita con dosi massicce di «o tutto o niente e il resto è inciucio» non accetterebbe facilmente la scelta di fare politica, che è comunque mediazione, senza la garanzia di palazzo Chigi e in ogni caso non ingoierebbe accordi con il leader che considera da sempre come il principe dei manigoldi.

SALVINI PER IL SECONDO giorno consecutivo replica a muso duro: «Ma Di Maio da solo dove va? Voglio vederlo trovare 90 voti che si convincono dalla sera alla mattina…». Ancora prima, intervistato dal Corriere era andato giù altrettanto secco: «Se Di Maio vuole governare col Pd auguri». Solo che di voti anche alla destra ne mancano una cinquantina. «Sono molti di meno», assicura Salvini offrendo il destro alla pronta replica via twitter di Di Maio: «Vuole fare il governo con i 50 voti di Renzi in accordo con Berlusconi? Auguri». Insomma i due vincitori tra un sms e l’altro («Ma solo sull’operatività del parlamento» giura Salvini) e mentre preparano un faccia a faccia per i prossimi giorni, si accusano vicendevolmente di praticare la politica dei due forni con il Pd nelle vesti della soluzione di ripiego.

Un po’ hanno ragione entrambi. Una parte dell’M5S spera davvero che il partito tramortito cambi registro e non pochi hanno visto come una chance concreta l’elezione a capo dei deputati di Delrio, che ormai è un renziano molto light, senza dubbio ben più sensibile ai richiami del Colle che a quelli dell’ex onnipotente del Nazareno. Però il parlamento, al contrario di quel che sperava Renzi, è rimasto bicamerale e non a caso l’ex segretario del Pd ha preferito sacrificare il capogruppo di Montecitorio e affidare al fedelissimo Andrea Marcucci il timone di palazzo Madama, dove sa di poter bloccare ogni accordo con i 5S. Ed è altrettanto vero che il vertice di Fi non ha affatto rinunciato al sogno di un governo «fatto nascere» dal Pd.

COSÌ, MENTRE I DUE si rinfacciano di flirtare con il Pd, l’area che in quel partito ancora comanda chiude ogni pertugio. Lo fa Marcucci, ripetendo il leit motiv del capo: «Hanno vinto. Spetta a loro risolvere». Lo fa Matteo Orfini, anche lui con un tweet: «Scusate se interrompo il corteggiamento ma con i voti del Pd non farete nessun governo perché i nostri parlamentari staranno all’opposizione».

Al momento la partita delle vicepresidenze, giocata ieri al Senato e in agenda per oggi alla Camera non aiuta nessun dialogo. I 5S hanno rifiutato di votare un questore del Pd e chiesto inutilmente, in cambio del lasciapassare per la vicepresidenza della orlandiana dem Rossomando, i voti per la loro candidata questore Laura Bottici in modo da farla diventare «questore anziano», in grado cioè di firmare da sola gli atti amministrativi, al posto del forzista De Poli, riconfermato invece «questore anziano». Gli altri questori eletti ieri sera sono Bottici e il leghista Paolo Arrigoni. I vicepresidenti sono Anna Rossomando, Roberto Calderoli, la 5S Paola Taverna e Ignazio La Russa di Fdi. «Che sia stata negata al Pd la possibilità di avere un questore è un fatto gravissimo, senza precedenti», tuona Marcucci.

ALLA CAMERA, oggi il Movimento 5 Stelle mira a piazzare un suo vicepresidente in modo da aumentare il proprio peso in ufficio di presidenza in vista della modifica del regolamento sui vitalizi. «I 5 Stelle ci avevano detto che avremmo avuto due vicepresidenze, una in entrambe le camere. Giorgetti ci aveva promesso un questore. Si sono rimangiati la parola», insorge il Pd, che medita ora di non accettare per protesta nessun posto nell’ufficio di presidenza di Montecitorio, neppure i segretari d’aula.

DA OGGI M5S INTENDE iniziare gli incontri con gli altri partiti, ma solo con i gruppi parlamentari per evitare imbarazzanti faccia a faccia con Berlusconi. Ma il Pd dà forfait: «Di certo non parteciperemo in questi giorni a nessun incontro. Attendiamo con rispetto prima di tutto le consultazioni con il presidente Mattarella», chiude le comunicazioni il reggente dem Maurizio Martina.
Il 4 aprile cominceranno le consultazioni sul Colle e i gruppi di centrodestra, almeno al primo giro, si presenteranno divisi. La soluzione della crisi sembra più lontana che mai.