L’estate di sessant’anni fa, nel 1959, un aereo militare americano si schiantava sulla scuola elementare di Miyamori, a Okinawa, uccidendo 21 persone. Il tragico evento è purtroppo solo uno dei numerosi «incidenti» che le truppe americane stanziate a Okinawa hanno causato e continuano tuttora a causare nelle isole più meridionali del Giappone. Le proteste contro la presenza statunitense nella zona e l’espansione della base aerea continuano tutt’oggi, anche se negli ultimi tempi i media sembrano essersene dimenticati. Ma le lotte e la resistenza di Okinawa, con tutte le piccole e grandi isole che la compongono, rappresentano anche un territorio dove si giocano e si intrecciano diverse e complesse battaglie.

Tra cui quella identitaria: le isole Ryukyu, questo il nome dell’arcipelago nella lingua vernacolare, sono state infatti per molto tempo un territorio separato dalla nazione nipponica, e furono annesse al Giappone dopo la guerra solo nel 1972. Okinawa inoltre è un luogo privilegiato, suo malgrado, dove tutte le faglie storiche e geopolitiche che attraversano la parte estremo orientale del continente asiatico sono più evidenti.

Gekieiga Okinawa, attualmente in alcune sale dell’arcipelago per celebrarne i 50 anni e per riscoprire un’opera poco conosciuta, è un film prodotto in Giappone nel 1969 ma incredibilmente moderno ed attuale per il modo e la forza con cui riesce a rappresentare le tensioni presenti nella zona. Si tratta di un lungometraggio in bianco e nero di quasi duecento minuti diviso in due parti: nella prima le vicende si svolgono a Okinawa durante gli anni cinquanta, con protagonisti un gruppo di adolescenti del luogo. Il secondo episodio invece, quello più lungo, si sposta nel decennio successivo per vedere come quello stesso gruppo di ragazzi sono cresciuti e diventati adulti.

Lavoro indipendente diretto da Atsushi Takeda e prodotto da Satsuo Yamamoto, Gekieiga Okinawa è una miscela esplosiva di generi, in parte film sul desiderio di ribellione della gioventù alla maniera dei Taiyozoku film, i cosiddetti Sun Tribe film degli anni cinquanta e sessanta. In parte documentario con immagini delle proteste contro la presenza americana e scene «rubate» dentro e fuori la base militare stessa. Ma il film è anche una intelligente riflessione sulla ribellione e la forza della classe operaia, specialmente nel secondo e più lungo capitolo. Seguendo le vicende di un gruppo di ragazzi che si confrontano con la presenza militare statunitense, il film descrive e mostra la nascita di quel senso di appartenenza al luogo, con tutte le sue tradizioni e la sua cultura, e di conseguenza anche l’affiorare del sentimento di opposizione e resistenza contro «l’invasore» americano.

Ma lo fa in maniera fine e mai banale: molti degli abitanti sono infatti a favore della base in quanto è vista come possibilità per arricchirsi o di uscire dalla povertà che asfissia la loro quotidianità. Nel secondo episodio i giovani, ora cresciuti, finiscono, perché costretti dalla condizione economica, a lavorare paradossalmente proprio nelle fabbriche dell’esercito americano. Siamo negli anni sessanta ed è qui che vengono prodotte, o almeno caricate sugli aerei, molte delle bombe che andranno a devastare il Vietnam e la sua popolazione. È in questo contesto che il senso di rabbia verso il padrone/invasore evolve e si interseca con la consapevolezza di appartenere alla classe operaia e nelle scene finali, quando i lavoratori bloccano la produzione con uno sciopero impedendo quindi agli aerei di volare in Vietnam, sfocia anche in un afflato pacifista.

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