Il pregio più grande delle saghe, soprattutto quelle videoludiche, è che ci permettono di cogliere nel tempo cambiamenti forse impercettibili sul breve periodo, eppure macroscopici se li si osserva a distanza di anni. Sin dal suo testosteronico arrivo sull’xbox360, Gears of War divenne un prodotto culturalmente rappresentativo di un’intera generazione: una campagna singleplayer lineare si accompagnava a un multiplayer competitivo e semplice, che per garantire longevità al suo servizio mirava al perfezionamento delle meccaniche. Oggi, nell’era del sandbox e del sovraccarico contenutistico, Gears of War 5 si riposiziona in funzione delle nuove coordinate del settore: la sua campagna si caratterizza per l’aggiunta di corpose sessioni molto meno rigide, di certo non open world ma al contempo ben lontane dalla linearità; il suo gameplay, un tempo incentrato su un bilanciamento sopraffino tra poche ma fondamentali meccaniche, si decora di abilità speciali e potenziamenti progressivi, misero stimolo di un’esplorazione ambientale dannosa per la narrazione; la mole gigantesca di contenuti, tra nuove modalità di gioco cooperativo, multiplayer e singleplayer, rappresenta una sfida anche per i fan più dedicati. L’elemento forse culturalmente più rilevante è però la totale riscrittura dell’apparente leggerezza tematica della saga, che ha sempre e solo suggerito certe complessità, senza affrontarle.

L’ideatore originale della saga, Cliff Bleszinski, ha spesso raccontato dei numerosi elementi presenti nella serie che tratteggiavano i suoi rapporti col padre, ma si trattava sempre di piccoli riferimenti, suggestioni. Inoltre, il tema della cieca corsa all’estrazione petrolifera, per quanto attuale (e il clima ce lo rammenta ogni giorno), era solo lo sfondo di fronte al quale riempire i nostri pomeriggi di riceriche perfette e match competitivi. Oggi invece la saga rinuncia a questa leggerezza tematica, almeno nei suoi elementi tradizionali di racconto (cinematiche, testi, ecc.), per riscrivere completamente la percezione del giocatore relativamente alle sue azioni.

Spesso il mondo videoludico ci mette nei panni di mercenari al soldo di forze governative o private che trattano altri paesi, città, pianeti e popoli come risorse da sfruttare. Non è un caso che alcune aziende militari finanzino direttamente l’uso di armi vere all’interno di molti giochi, iniziando a diffondere i loro brand anche tra i più giovani. In tal senso, Gears 5 riscrive completamente i rapporti di potere descritti nella saga. La Guerra Fedda, il colonialismo, l’uso delle armi di distruzione di massa, la libertà di stampa: The Coalition non ha paura d’affrontare questi temi, e considerando anche l’origine tipicamente statunitense dei suoi consumatori la cosa ha anche un peso diverso. Ovvio, siamo lontanissimi dalla sensibilità narrativa e soprattutto ludica di Spec Ops, ma siamo al contempo molto più vicini a un’opera che ci mette di fronte a numerosi argomenti spinosi, che occupano spazio e tempo all’interno dell’esperienza. Certo, tutto ciò che possiamo materialmente fare nel gioco è uccidere o farci uccidere, e di conseguenza la portata del messaggio viene fortemente diluita dall’uso totalizzante della forza bruta come unico strumento di comunicazione, ma forse anche per questo lascia sorpresi sentirsi dare del fascista dalle persone che stiamo «salvando», secondo ciò che ci raccontano i nostri superiori.

Anche nella scelta delle ambientazioni le firme dietro al gioco non hanno paura di dirci cosa pensano dell’umanità moderna: già in rovina dopo decenni di guerre per il petrolio (prima) e per la sopravvivenza (poi), le città crollano sotto i colpi di nuove e oscure minacce, e nel mentre Sera fiorisce rigogliosa e splendente, graziata dal crollo della civiltà umana, che si trova addirittura a finanziare progetti per il ripopolamento del pianeta. In un’atroce e tristemente realistica previsione, la terra riuscirà a salvarsi solo se l’uomo affronterà se stesso in una lotta suicida per un potere sempre più inutile. E infine, ribaltando le prospettive più delicate di questo genere di racconti, anche il nemico supremo, le irrazionali e disumane Locuste diventano prodotto di menti umane e del desiderio di potere e considerazione sociale, in un mix di segreti di Stato ed esperimenti andati a male che ricordano da vicino le realtà del terrorismo internazionale.
Se dunque a livello contenutistico e ludico Gears of War 5 si dimostra talmente prono ai diktat commerciali recenti da perdere la sua identità e da annacquare i suoi valori, al contempo l’opera di The Coalition riesce a mettere in scena un racconto a tratti crudo, violento, critico verso il sistema e i suoi valori, e riesce a comunicare con molti pubblici diversi, tramite scelte inclusive e coraggiose (dalla ricchezza delle bandiere del multiplayer all’accessibilità per i diversamente abili). La speranza è che nei prossimi capitoli della serie gli autori decidano di mostrare del coraggio anche nelle scelte ludiche, capaci di non inseguire le logiche di mercato ma funzionali al tipo di racconto pensato in fase di scrittura.