Dal 22 maggio i «gazebers» cronici dovranno restare a casa il venerdì all’ora di cena. Gazebo (@welikechopin su twitter, perché il titolo allude alle elezioni primarie, ma gli autori sono pur sempre ragazzi degli anni ’80), chiude la terza stagione uscendo dalla «nicchia» per approdare, con cinque puntate settimanali, in prima serata. Andrea Salerno, una delle firme del programma di Raitre, non è preoccupato: «Abbiamo cambiato spesso collocazione e durata. Ma è nella natura stessa di un Gazebo. Il Gazebo dove lo metti sta, si può spostare facilmente, non mette radici. Più seriamente è la voglia di continuare a sperimentare e di mettersi in discussione».

Come nasce Gazebo?

Nasce dopo un pranzo. Nasce dall’intuizione di Diego Bianchi di unire un gruppo di persone che si conoscevano poco, che a volte si erano sfiorate, con percorsi differenti e esperienze professionali molto diverse: il sottoscritto, Marco Damilano, Makkox, Antonio Sofi. L’idea era quella di provare a raccontare il nostro Paese usando linguaggi nuovi, mischiando satira e giornalismo, il mondo reale e quello alterato dei social network. Alcuni di noi venivano dalla tv, altri dal web, altri dalla carta stampata. Avevamo tutti lavorato con Diego, ma separatamente e a progetti diversi. Ognuno aveva i suoi riferimenti. Obbiettivo che ci trovò subito d’accordo: provare a frullare tutto, Te lo do io il Brasile di Grillo, gli studi arboriani di prima generazione come Speciale per voi, la migliore informazione visiva, musica dal vivo e altro ancora. Al centro di tutto, la piccola telecamera di Diego, il suo terzo occhio, la grande capacità di riprendere e montare con uno stile unico, la capacità di essere ‘autorevole’ perché presente. Una tv-jazz, tutto live: Diego racconta e mostra video, Makkox disegna e la musica suona. Questa la base di partenza. Altro non sapevamo, né di noi, né di quello che avremmo fatto. Ci hanno aiutato tre cose: l’affiatamento; l’attualità che per le prime dodici puntate ci regalò eventi straordinari che ci fecero da palestra, una rete (Raitre) che ci permise – cosa sempre più rara – una sorta di libera sperimentazione in onda. Uniti solidi e capaci musicisti e un tassista pazzo, preso per studio il retro del Teatro delle Vittorie dove viene registrato Affari tuoi, il gioco è cominciato.

Quale fabbrica produttiva mette in moto?

Gazebo è girato interamente con le telecamerine, con i telefoni, con Ipad, insomma con qualsiasi cosa sia estremamente duttile. Una trasmissione a basso budget, resa possibile dall’aver capito che a volte anche la ripresa di una diretta trasmessa su un monitor di computer è sufficiente a raccontare la realtà. Diego monta anche il suo “grezzone”, tutto il resto viene supportato da un montaggio della Rai. Le riprese e tutto lo studio sono frutto della grande professionalità della squadra Rai del Delle Vittorie che da subito si è divertita con il resto del gruppo e ha dato un grande apporto affinché un piccolo retro di uno studio avesse un’anima e una riconoscibilità televisiva. La produzione è divisa tra Fandango Tv e Rai. Ma la modalità produttiva principale di Gazebo è che tutti possono trovarsi a partecipare a tutti i livelli, dalle riprese all’essere protagonisti in video. La produzione di Gazebo stessa è diventata uno degli elementi di narrazione e probabilmente anche una delle caratteristiche principali che la rendono una trasmissione unica nel suo genere. Spostamenti in moto, riunioni di redazione, tutto è rappresentato, tutto fa parte del racconto gazebico, del racconto di quel ‘circo mediatico’ che accompagna ormai ogni evento di cronaca, lo condiziona, lo trasforma, lo rende tale.

Tra autoreferenzialità ostentata e radicalità dei contenuti, anche il reportage, come quelli sull’immigrazione, è trattato in modo nuovo.

L’occhio e la capacità di Diego di essere partecipe e coprotagonista del documentario che gira è la chiave di volta e la caratteristica che permette di affrontare in modo diverso ogni argomento che sia Sanremo o un drammatico viaggio tra gli immigrati di Rosarno. Oltreoceano hanno inventato Vice e certo gonzo journalism, noi abbiamo Gazebo. E’ una questione di linguaggio, sia visivo sia narrativo. Significa rompere le liturgie a cui il pubblico è abituato e portare sul piccolo schermo modelli che più frequentemente e stabilmente si trovano su Youtube, sui social, in quel mare che è la Rete dove non ci si preoccupa della pulizia di un’inquadratura o dell’audio, anzi: in quella sporcatura e imperfezione il racconto sembra ritrovare uno straccio di reale, di verità, e di credibilità. Quella credibilità che potremmo perdere domattina, ma che fino ad ora ci ha permesso di fare i buffoni e i giornalisti senza danneggiare né i primi né i secondi.

Le partenze in vespa sono un omaggio morettiano?

Un omaggio morettiano sicuramente, ma soprattutto più semplicemente una soluzione pratica: è la mia Vespa, quella che uso tutti i giorni. Il parco “mezzi” di Gazebo è composto anche di un’Harley di Pierfrancesco da Termoli e del taxi di Mirko, se per questo. La Vespa è un modo per spostarsi velocemente, rende bene l’idea dell’azione, e soprattutto ancora non mi spiego come Diego riesca a fare a mano libera delle riprese ferme che neanche su un camera car.

Nel momento della crisi dei generi televisivi, con i talk-show in depressione, Gazebo inventa un modo nuovo di occuparsi di politica. E’ la matrice della rai “guglielmina” aggiornata all’epoca dei social? Oppure?

Ma, questo bisognerebbe chiederlo a Guglielmi. Di quella stagione straordinaria che nel bene e nel male ha contribuito alla decostruzione dei modelli culturali che avevano accompagnato la tv dalla sua nascita e il novecento e la sinistra italiana fino alla caduta del muro di Berlino, sicuramente ereditiamo la voglia di sperimentare e di mettere in discussione i linguaggi e le liturgie consolidate del piccolo schermo. Più semplicemente proviamo a raccontare le cose che raccontano tutti da un altro punto di vista. A volte ci riesce, a volte meno. Ma ci proviamo sempre e con grande rigore. Le nostre riunioni di redazione del lunedì sono così serie che a volte preoccupano pure noi.

Perché non avete ospiti in studio?

Non è una scelta definita. Spesso semplicemente non servono per costruire il nostro racconto. Gazebo ha la capacità di espellere qualsiasi cosa non sia “gazebica” da se stesso.

Cosa significa “gazebico”?

Ancora non l’abbiamo capito fino in fondo. Per esempio al momento un politico in studio non siamo ancora riusciti a metterlo. Non è che lo si esclude a priori, è il programma che al momento lo rifiuta in automatico

Una delle vostre particolarità è il racconto variamente declinato. E’ questo il senso della graphic novel invece del vignettista classico?

Makkox con i suoi disegni live, i fumetti animati e i tutorial fanno parte della sinfonia. Il senso è proprio questo, dove non arrivano la telecamera, la musica o una gag, lì arriva sicuramente una matita. E’ proprio una possibile declinazione del racconto, di un racconto che dev’essere principalmente visivo. Che poi è strano, in un programma dove la parola di Diego si sovrappone ai filmati, dove lo spiegone di Damilano fissa alcuni chiodi, dove la classifica dei social è il trionfo del nuovo verbo, dove insomma le parole abbondano. Forse è proprio questo Gazebo: parole che fanno da chiodi per i fili narrativi di reportage e disegni. Ma domani sarò pronto a giurare che invece è l’esatto contrario.

La musica ha un posto in prima fila. Come scegliete i gruppi?

Il primo criterio è: decide Diego. Il secondo: devono suonare dal vivo ed essere molto bravi.