Le prossime saranno ore ad alta tensione a Gerusalemme, in Cisgiordania e a Gaza ‎dove sono annunciate manifestazioni e raduni in occasione, domani, del “Giorno ‎della terra”, che commemora i sei palestinesi uccisi dalla polizia israeliana in ‎Galilea durante le proteste, 32 anni fa, contro la confisca delle terre arabe. Una ‎ricorrenza che nel corso del tempo si è trasformata in una occasione di condanna ‎dell’occupazione dei Territori palestinesi occupati e di sostegno della minoranza ‎araba in Israele. A queste dimostrazioni, sempre domani, si aggiungeranno le ‎proteste annunciate dal capo del Supremo consiglio islamico, ‎Ekrima Sabri, dopo ‎la cerimonia di sacrificio rituale (di due pecore), autorizzata da giudici israeliani, ‎tenuta lunedì scorso da centinaia di nazionalisti religiosi ai piedi della Spianata ‎della moschea di al Aqsa, sito considerato dagli ebrei il Monte del biblico ‎Tempio.‎

‎ La Torah prescrive il sacrificio dell’agnello alla vigilia della Pesach, la Pasqua ‎ebraica, e negli ultimi anni gruppi della destra religiosa, che invocano la ‎ricostruzione del Tempio, hanno riscoperto gli antichi rituali ‎«in preparazione‎ del ‎ritorno al Monte del Tempio‎».‎‏ ‏Il sacrificio si era già svolto lo scorso anno ma nel ‎quartiere ebraico della città vecchia di Gerusalemme e l’autorizzazione data dalla ‎corte israeliana alla cerimonia, a pochi metri dall’ingresso della Spianata delle ‎moschee, rappresenta un deciso progresso per le aspirazioni dei “templari” guidati ‎dal deputato Yehudah Glick. I palestinesi contestano la decisione del tribunale ‎perché viola lo status riconosciuto internazionalmente della Spianata, terzo luogo ‎santo dell’Islam, e si dicono pronti a contrastare ulteriori passi dei nazionalisti ‎religiosi israeliani. ‎

‎ Tuttavia domani il punto di tensione più alto sarà con ogni probabilità nella ‎fascia orientale di Gaza, a poche centinaia di metri dalle linee di demarcazione con ‎Israele. Il capo di stato maggiore israeliano, Gadi Eisenkot, ha annunciato di aver ‎autorizzato l’uso di pallottole vere contro i palestinesi che si avvicineranno o ‎attaccheranno le barriere di confine durante la “Marcia per il ritorno”, una ‎iniziativa che prevede l’allestimento di una tendopoli a circa 700 metri dalle linee ‎israeliane e che si concluderà il 15 maggio, in occasione del 70esimo anniversario ‎della fondazione dello Stato di Israele nel 1948 e della Nakba, la “catastrofe” ‎durante la quale centinaia di migliaia di palestinesi furono espulsi o costretti a ‎fuggire dalla loro terra. In effetti i soldati israeliani e i sistemi d’arma automatici ‎lungo le barriere già utilizzano munizioni vere – come dimostrano i quasi 20 ‎palestinesi uccisi in quella zona dallo scorso dicembre, in seguito alla ‎dichiarazione di Donal Trump su Gerusalemme – e l’annuncio di Eisenkot perciò ‎lascia intendere che l’esercito non esiterà a fare fuoco. ‎«Stiamo rinforzando le ‎barriere – ha detto Eisenkot – e un gran numero di soldati saranno di guardia ‎nell’area in modo da prevenire possibili tentativi di passare in territorio ‎israeliano‎». Secondo i media locali l’esercito schiererà più di 100 tiratori scelti. ‎Già ieri carri armati israeliani hanno aperto il fuoco contro presunte postazioni del ‎movimento islamico Hamas dopo che due palestinesi avevano dato fuoco e ‎danneggiato una parte della parte settentrionale della barriera tra Gaza e Israele.

‎ Prosegue inoltre la campagna che vede impegnati in Israele oltre duemila ‎agenti di polizia e volontari per individuare e arrestare i manovali palestinesi che ‎lavorano in Israele senza permesso. Almeno 500 di questi sono già stati fermati. ‎L’associazione per i diritti umani Adalah ha condannato l’operazione, a partire dal ‎nome “Removing Chametz”. Per la religione ebraica, rimuovere il chametz ‎significa l’eliminazione dalle abitazioni dei cibi proibiti durante la Pesach. In ‎questo caso, protesta Adalah, il chametz sono i palestinesi. ‎