Ogni giorno 120mila metri cubi di acque reflue della Striscia di Gaza finiscono in mare senza essere state trattate. La scarsità di energia elettrica, appena quattro ore al giorno, consente l’impiego a singhiozzo degli impianti di depurazione.

«Ora forniamo a malapena quattro ore di elettricità, in alcune aree appena tre. Se ci saranno altri tagli alle forniture tanti servizi di pubblica utilità, come i depuratori, saranno ridotti all’osso. Gli ospedali dovranno funzionare sempre con i generatori», avverte Mohammed Thabet, un dirigente della società per la distribuzione dell’elettricità.

A Gaza è allarme rosso, ancora una volta.

La data non è stata ancora decisa ma Israele si prepara a tagliare il 40% della sua quota di energia elettrica destinata alla Striscia. Una decisione che segue la disposizione ricevuta dal presidente palestinese Abu Mazen che, come aveva annunciato nelle settimane passate, non coprirà più il costo completo delle forniture di elettricità a Gaza.

Abu Mazen e il premier Hamdallah negano un “disimpegno” da Gaza e dall’assistenza dei 2 milioni di palestinesi che vi risiedono. Affermano invece che il movimento islamico Hamas, che controlla Gaza da dieci anni, avrebbe le risorse per assistere almeno in parte la popolazione civile e non deve lasciare tutto lo sforzo sulle spalle di un governo, quello di Ramallah, di cui peraltro non riconosce l’autorità.

Dopo il fallimento dei tentativi di riconciliazione tra Fatah, il partito di Abu Mazen, e la leadership di Hamas, la presidenza palestinese ha scelto la linea del pugno di ferro con gli islamisti con l’obiettivo di costringerli a cedere il controllo di Gaza.

Ha prima ridotto del 30% gli stipendi ai dipendenti dell’Anp a Gaza, poi ha tagliato i sussidi a centinaia di ex detenuti legati ad Hamas, quindi ha ripristinato le imposte sul carburante dell’unica centrale elettrica e ora ha chiesto a Israele di ridurre la fornitura di elettricità.

Una decisione che Israele ha accolto con esitazione non volendo passare come la parte che sta aggravando, oltre al pesante blocco di Gaza che già attua da oltre dieci anni, le condizioni di vita della popolazione.

«Non dimentichiamo che questa è la decisione di Abu Mazen, e i cittadini israeliani non possono pagare la bolletta elettrica dei residenti di Gaza», ha messo le mani avanti il ministro della sicurezza Gilad Erdan.

Ma se il governo Netanyahu si tira indietro, i comandi militari israeliani avvertono che Hamas, messo alle strette, potrebbe scegliere di rovesciare il tavolo. Il braccio di ferro potrebbe sfociare in un nuovo conflitto.

«La riduzione della corrente elettrica avrà un effetto catastrofico su tutti i settori della vita a Gaza, accelererà il deterioramento della situazione e l’esplosione della Striscia», ha avvertito un portavoce di Hamas.