La notizia girava nell’aria da un paio di giorni. Il sì di Hamas e Jihad alla proposta egiziana era ormai certo, si attendeva solo il via libera del governo Netanyahu. Poi ieri pomeriggio è giunta la conferma dell’accordo per un cessate il fuoco illimitato che mette fine a 50 giorni di offensiva militare israeliana “Margine Protettivo” e ai lanci di razzi e colpi di mortaio da Gaza. Già prima dell’inizio della tregua, alle 18 italiane, centinaia di palestinesi, non solo attivisti di Hamas, erano scesi in strada a festeggiare la fine del massacro, di immense distruzioni. Poi a migliaia hanno attraversato città e villaggi della Striscia sorridendo, cantando, urlando la loro gioia. E’ finita, almeno per ora.

Un massacro così deve essere descritto e non come una “guerra” ciò che è avvenuto a Gaza in questi ultimi due mesi. Un massacro che ha pagato la popolazione civile palestinese prima di chiunque altro. Certo, anche i razzi di Hamas hanno generato paura e tensione, specie nelle regioni meridionali di Israele dove hanno ucciso cinque civili, tra i quali un bambino. E i combattenti di Ezzedin al Qassam hanno dato filo da torcere ai soldati israeliani, 64 dei quali sono rimasti uccisi negli scontri. Ma è solo una frazione di quello che ha pagato la Striscia di Gaza. Migliaia di attacchi aerei, terrestri e navali israeliani hanno ucciso oltre 2.100 palestinesi – per almeno 2/3 civili innocenti tra i quali donne e bambini – quasi 11mila i feriti (3mila bambini, centinaia rimarranno disabili), migliaia di case completamente distrutte, altre migliaia danneggiate, infrasttutture civili devastate, centinaia di fabbriche ed imprese ridotte in macerie o bruciate. L’elenco è lungo e conferma l’eccezionale durezza dell’attacco militare israeliano che negli ultimi giorni non ha esito a polverizzare, ad evidente scopo intimidatorio, persino le torri residenziali che dominavano il capoluogo Gaza city. Un martellamento incessante che si è fermato lasciando l’amaro in bocca a diversi ministri israeliani e agli abitanti del Neghev che accusano il premier Netanyahu, in netto calo nei sondaggi, di non aver saputo «risolvere il problema», ossia di non aver schiacciato Hamas e di non aver autorizzato una punizione ancora più pesante per i palestinesi di Gaza, “colpevoli” di reclamare il diritto alla libertà e a una vita dignitosa. Forse anche per questo Netanyahu e il resto del governo ieri sera hanno preferito la linea del basso profilo.

Eppure Netanyahu, comunque si voglia leggere questo accordo di tregua, porta a casa una vittoria ai punti. Certo, ha mancato l’obiettivo di annientare Hamas e quello altamente velleitario di provocare una “sollevazione” dei palestinesi di Gaza contro il movimento islamico. Tuttavia ha ottenuto il cessate il fuoco illimitato e, di fatto, incondizionato che cercava. Alla fine Hamas ha avuto solo qualche cambiamento cosmetico che non modifica la terribile condizione di Gaza sotto quel blocco israeliano che il movimento islamico aveva promesso di scardinare in modo definitivo. Hamas ha annunciato e celebrato la fine delle ostilità come una “vittoria” frutto della resistenza dei suoi combattenti. Il suo portavoce Fawzi Barhoum, in una conferenza stampa improvvisata, ha illustrato i successi militari ottenuti dal braccio armato del suo movimento e la sconfitta di Israele che non è riuscito fermare in nessun momento «la resistenza». E di passo in avanti per Gaza ha parlato anche il presidente dell’Anp Abu Mazen che, in un discorso televisivo da Ramallah, ha anche annunciato la presentazione di un suo piano generale e definitivo per la fine del conflitto con Israele.

A ben guardare ci si rende conto che dopo essere rimasti 50 giorni sotto bombardamenti pesanti, i palestinesi non hanno ottenuto più di ciò che era stato stabilito nel 2012, con l’accordo di cessate il fuoco firmato da Israele e Hamas al termine dell’operazione “Pilastro di Difesa” (il secondo dei tre attacchi in cinque anni contro Gaza). Nell’immediato, hanno fatto sapere gli egiziani, saranno riaperti i valichi per far passare gli aiuti umanitari per la popolazione stremata e i materiali per la ricostruzione. L’area di pesca per gli abitanti di Gaza tornerà ad essere di sei miglia marine. Solo fra un mese però inizieranno al Cairo i negoziati sulle questioni vere e più complesse, quelle sulle quali per giorni e giorni le delegazioni palestinese e israeliana riunite nella capitale egiziana hanno cercato invano un’intesa. A cominciare dalla richiesta palestinese di dotare la Striscia di un porto e di un aeroporto per finire alla “smilitarizzazione” di Gaza invocata da Netanyahu. Invece di sventolare la bandiera della vittoria, i leader di Hamas dovrebbero ripensare alle promesse fatte alla popolazione, alle linee rosse “invalicabili”, ai proclami di lotta fino al conseguimento di tutti gli obiettivi dichiarati. «Nessuna nazione araba ha resistito in questo modo ad Israele e così a lungo», ha rimarcato ieri sera un esponente del movimento islamico. Questo a Gaza, ai palestinesi, non basta più.