Gaza esce da un incubo per entrare nel prossimo. La popolazione tenta di tornare alla vita quotidiana: fare la spesa, riaprire i negozi, uscire in mare a pesca. Di fronte, la distruzione è totale. Alcuni quartieri sono irriconoscibili: a Shajaye i superstiti al massacro israeliano hanno appeso cartelli sopra gli scheletri delle case, con il nome dei proprietari e i numeri di telefono. Forse per orientarsi nella distruzione, o tentare di capire quanti non ci sono più.

La brutalità di Margine Protettivo non ha precedenti. In tanti, nei giorni più duri dell’operazione, dicevano che a confronto Piombo Fuso era stata uno scherzo. Un’orgia di violenza che le organizzazioni internazionali riassumono con i numeri: 2.141 morti, di cui due terzi civili e 536 bambini; 89 famiglie completamente sterminate; 10.244 feriti, di cui 3.106 bambini. Mille minorenni disabili permanenti; 1.800 orfani di almeno un genitore; 373mila con disturbi da stress post traumatico, pericolo sottile e latente che sta disintegrando i rapporti familiari e sociali di Gaza. Oltre 475mila gazawi – un quarto del totale – non hanno più un tetto sulla testa per la distruzione di 17mila case. 300mila sono ospitati nei rifugi Onu in condizioni terribili: decine di persone per ogni classe, mancanza d’acqua, malattie che si diffondono troppo rapidamente per essere arginate. Secondo il Ministero della Salute il 50% dei rifugiati offre di infezioni della pelle, scabbia e funghi.

Ci si chiede se la ricostruzione promessa farà ripartire l’economia fragilissima della Striscia, devastata da 50 giorni di raid. Secondo la Fao, 42mila acri di terra coltivabile sono stati spazzati via e metà del raccolto è andato perduto o perché colpito dalle bombe o perché i contadini non avuto accesso alle terre per troppo tempo. 360 industrie sono state danneggiate, 126 quelle completamente distrutte: una perdita, quella privata, di 70 milioni di dollari. Il settore della pesca ha perso il 10% del fatturato.

A ciò si aggiungono i danni a reti elettriche, idriche, fognarie, a linee telefoniche e infrastrutture, scuole, ospedali e l’unico impianto elettrico della Striscia. Calcolatrice alla mano, il risultato è disastroso: all’inizio di agosto, il Ministero dell’Economia aveva calcolato in tre miliardi di dollari le perdite complessive, quasi il doppio del Pil della Striscia, quattro volte i danni subiti durante Piombo Fuso.

Due muri più in là anche la Cisgiordania subiva una dura repressione. La Palestina storica è scesa in piazza per manifestare solidarietà ai fratelli gazawi e rabbia per la brutalità israeliana: centinaia di proteste, decine di migliaia di persone da Haifa a Gerusalemme, da Ramallah a Hebron. Voglia di unità e dolore sono stati puniti dall’esercito israeliano: dall’8 luglio sono 20 i palestinesi uccisi in Cisgiordania in scontri con le forze militari, quasi tutti giovanissimi, quasi tutti colpiti da pallottole vere. Una mattanza a cui si aggiungono 2.139 feriti, oltre 500 arrestati in Cisgiordania e 770 a Gerusalemme, teatro degli scontri più duri.

Dall’altra parte anche Israele conta i suoi danni, i più alti da sempre: 70 vittime, di cui 64 militari e 6 civili, tra cui un bambino. Sul piano economico, il settore turistico si lecca le ferite: 25 milioni di perdite al giorno a causa della fuga dei turisti stranieri. Danni anche per il settore industriale, che ha perduto oltre 240 milioni di dollari, per lo più per l’assenza di operai e lavoratori (o troppo spaventati dai missili per recarsi al lavoro o richiamati come riservisti nell’esercito).

Un totale di oltre tre miliardi di dollari andati in fumo che però i sapienti vertici israeliani sapranno presto coprire con la vendita – già iniziata ad operazione ancora in corso – delle armi testate sulla popolazione gazawi.