Migliaia di palestinesi oggi parteciperanno alla Marcia del Ritorno e alle nuove manifestazioni popolari a ridosso delle linee di demarcazione tra Gaza e Israele nel giorno che porta il nome di “Venerdì delle bandiere”. Saranno bruciate bandiere israeliane nei cinque gli accampamenti eretti nella fascia orientale di Gaza e subito dopo verranno issate bandiere della Palestina.
Oltre trenta palestinesi, tra cui un giornalista e alcuni adolescenti, sono stati uccisi dal fuoco dei tiratori scelti israeliani il 30 marzo e il 6 aprile.
Si teme che quella di oggi possa rivelarsi un’altra giornata di sangue, con morti e feriti.
Le ultime ore sono state segnate dalle uccisioni di altri due palestinesi. Ieri pomeriggio i militari israeliani hanno colpito all’altezza di Khan Yunis, Abdullah al Shehri, 28 anni, che si era avvicinato alle barriere con lo Stato ebraico. Un altro palestinese, Mohamed Jahila, 30 anni, è rimasto ucciso in un raid dell’aviazione israeliana su Gaza. Il ministero della sanità lo ha identificato come Mohammed Jahila, di 30 anni. Il portavoce militare ha detto alcuni palestinesi hanno aperto il fuoco con una mitragliatrice contro gli aerei.
Intanto Gaza lancia l’allarme-feriti. Secondo le cifre del Ministero della sanità i feriti degli ultimi due venerdì sono oltre 1.200 da proiettili veri e circa 1.500 per inalazione di gas lacrimogeni o colpiti da munizioni rivestite di gomma. Alcuni saranno disabili a vita.
Un numero tanto elevato di feriti da armi da fuoco ha appesantito la già difficile situazione degli ospedali e delle strutture sanitarie di Gaza. Sono finite le protesi per i feriti alle ossa e scarseggiano i medicinali salvavita per le persone con gravi patologie.
«Il personale medico gestisce attentamente le poche risorse che abbiamo a disposizione ma non basta. Operiamo al limite, non possiamo curare in modo efficace decine di feriti gravi, colpiti da pallottole che una volta entrate nel corpo hanno provocato danni estesi», avverte il dottor Ayman Sahbani, direttore del pronto soccorso dell’Ospedale Shifa di Gaza city.
In questo quadro difficile è giunta la notizia positiva dell’apertura per tre giorni da parte dell’Egitto del valico di Rafah per i casi “umanitari”, ossia per le persone malate o ferite che non possono ricevere cure a Gaza. I palestinesi sperano di poter trasferire in Egitto alcuni dei feriti più gravi.
Dall’inizio dell’anno è solo la quarta volta che il Cairo apre il transito, l’unica porta di Gaza sul mondo arabo. Secondo i media israeliani, l’Egitto avrebbe avviato colloqui con i palestinesi per allontanare dalle linee con Israele le manifestazioni della Marcia del Ritorno.