Gaza assomiglia a un enorme lago dopo giorni di pioggia. E freddo ed umidità rendono dei frigoriferi buona parte delle case, a causa della mancanza di elettricità per quasi tutto il giorno. «L’inverno aggiunge problemi ai tanti problemi di Gaza, potrei elencarne centinaia. Di uno di questi però non si parla abbastanza. Ci sono migliaia di famiglie che affogano nei debiti, e non sanno come sopravvivere. Le prigioni sono piene di debitori, persone che hanno chiesto prestiti o devono soldi ai negozianti di alimentari. Volevano sfamare la famiglia ma non hanno un lavoro e non riescono a coprire i debiti», ci dice Yusef Hammash, uno dei giornalisti di Gaza che da tempo denunciano una situazione insostenibile per diverse decine di migliaia di persone.

 

Una di queste è Adel, che ci chiede di non rivelare il cognome. Di Gaza city, sposato, padre di tre figli, era un impiegato del ministero della sanità. Poi nel 2007 è divampato lo scontro tra Hamas, che ha preso il potere a Gaza, e l’Autorità Nazionale di Abu Mazen. Da Ramallah gli ordinarono di non lavorare per il nuovo governo formato dal movimento islamista. «Per lungo tempo hanno continuato a pagarmi lo stipendio, insufficiente di fronte al costo della vita ma almeno riuscivamo a mangiare e a pagare l’affitto», ricorda. «Poi – aggiunge – Abu Mazen ha ridotto del 30% gli stipendi a tutti gli ex dipendenti dell’Anp a Gaza ed è stata la rovina per la mia famiglia». Con un reddito minimo, Adel ha cominciato ad accumulare conti su conti non pagati al minimarket sotto casa, quindi ha chiesto un prestito per pagare l’affitto e altre spese urgenti convinto di poter trovare nel frattempo un lavoro. «Qui non c’è un lavoro per nessuno, me ne sono reso conto dopo mesi di ricerca e tentativi inutili. E nell’impiego pubblico non mi prendono perché sono considerato uno che sta dalla parte di Abu Mazen, anche se io non sto proprio con nessuno, non faccio politica e penso solo a sopravvivere».

 

Lo scorso anno Adel è stato arrestato e, sulla base della legge n.23 approvata nel 2015, incarcerato per 91 giorni. «Questa legge permette a un giudice di mandare in prigione un cittadino che ha contratto debiti, non importa se con una banca o un privato. Per questo reato finiscono dietro le sbarre sempre più persone. E sono in aumento le frodi, compiute anche da donne, e la diffusione di assegni a vuoto, molte migliaia ogni anno», spiega Yusef Hammash. La ong “Islamic Relief” riferisce che nel 2018 il 92% delle famiglie in difficoltà si sono indebitate per soddisfare bisogni primari, a cominciare dal cibo. Nello stesso anno, secondo dati della polizia di Gaza, sono stati arrestati per debiti 93.314 palestinesi, il doppio rispetto all’anno prima. E nel 2019 c’è stato un ulteriore aumento. Nelle cinque prigioni e 22 stazioni di polizia di Gaza sarebbero attualmente detenute circa 3mila persone, il 30% a causa di debiti.

 

I giudici quando possono tentano di mediare tra debitori e creditori, in molti casi anch’essi difficoltà e che per sopravvivere hanno bisogno di recuperare le somme che hanno prestato. «Ma il compromesso non si raggiunge perché il debitore non ha la possibilità di restituire neppure una piccola parte del suo debito», ci spiega Iyad Abu Hjayer, del Centro palestinese per la democrazia. «Gaza sta precipitando nel baratro – aggiunge – L’assedio israeliano che dura da oltre dieci anni paralizza l’economia: non c’è lavoro, non c’è possibilità di sviluppo e di creare occupazione e reddito. Il governo di Hamas dovrebbe avviare un programma ampio per risolvere il problema dell’indebitamento che si aggrava anno dopo anno. Ma le risorse non ci sono e quelle disponibili sono impiegate per garantire lo stipendio ai dipendenti pubblici, peraltro appena il 40% di esso. Il 90% del budget totale del governo è destinato agli stipendi degli impiegati e forze di sicurezza».

 

Secondo i dati della Banca mondiale il tasso di disoccupazione a Gaza nel 2018 è salito al 52% mentre l’economia è crollata dell’8%. Ci sono 71mila famiglie povere di Gaza (circa 400mila persone, tra cui tanti bambini) attualmente inserite nel programma di aiuti del ministero degli affari sociali. Ogni trimestre ricevono tra 1200 e 1800 shekel (300-450 euro). Non bastano neppure ad assicurare un pasto al giorno per tre mesi e devono far ricorso agli aiuti alimentari delle Nazioni Unite. Così come non sono sufficienti gli aiuti di associazioni di carità locali e arabe che una volta all’anno, di solito durante il Ramadan, donano somme a sostegno anche di chi è indebitato. «Ho provato a nascondermi dai creditori – dice Younis Hijazi, senza lavoro da tre anni – poi un giorno un poliziotto è venuto a casa e mi ha consegnato una convocazione davanti al giudice. Sono andato in carcere per meno di 5.000 dollari e sono tornato in libertà solo grazie ai miei parenti che hanno coperto il debito». Le hammule, le famiglie allargate, spesso sono l’unica possibilità di salvezza per chi ha un debito. «Ma solo se di modesta entità» avverte Iyad Abu Hjayer «e comunque l’indebitato deve dimostrare la sua buona fede e le ragioni che lo hanno messo in forte difficoltà».

 

Si finisce in prigione anche per non aver pagato le spese mediche: per le patologie più gravi spesso gli ammalati sono costretti ad andare fuori Gaza, bruciando i risparmi di una vita e indebitandosi per migliaia di dollari. Poi c’è l’affitto, mediamente 125 dollari al mese, troppo in una società segnata da disoccupazione e povertà. Cresce la sfiducia, che spesso diventa contestazione, nei confronti del governo di Hamas. Molti si rendono conto che il blocco israeliano (ed egiziano) è la causa principale delle difficoltà economiche di Gaza, ma la popolazione accusa il movimento islamico di non amministrare nel modo giusto le risorse disponibili. Altri si domandano se siano stati investiti correttamente le centinaia di milioni di dollari donati dal Qatar a Gaza. Altri ancora puntano il dito contro Abu Mazen che, denunciano, con le sue politiche volte a mettere in difficoltà i rivali di Hamas, ha solo causato sofferenze a decine di migliaia di civili di Gaza.