Mancanza di infrastrutture, poca energia elettrica, scarsa acqua potabile, disoccupazione record, povertà estrema e tanto altro. È lungo l’elenco dei problemi di Gaza aggravati o causati dal blocco imposto da Israele 14 anni fa. E ci sono anche problemi che vengono fuori periodicamente. Come la mancanza di fondi dell’Unrwa, l’agenzia dell’Onu che assiste i 5,7 milioni di rifugiati palestinesi in Giordania, Siria e Libano, Cisgiordania e a Gaza. L’Unrwa, colpita dall’interruzione dei finanziamenti Usa ordinata da Donald Trump e dal calo di quelli di altri paesi, ha fatto sapere di non essere in grado di garantire il salario a tutti i 28mila profughi che lavorano nei suoi ambulatori, scuole e centri per la distribuzione degli aiuti alimentari.

Il capo dell’agenzia, Philippe Lazzarini, è stato molto chiaro: «I bisogni dei rifugiati palestinesi aumentano mentre i finanziamenti all’Unrwa ristagnano dal 2013. L’assistenza alla maternità e all’infanzia cesserà, mezzo milione di ragazze e ragazzi non sanno se potranno continuare a studiare e i rifugiati più poveri non riceveranno denaro e assistenza alimentare». Con l’Amministrazione Biden, ha aggiunto, sono ripresi i finanziamenti Usa ma questo sviluppo è stato vanificato dal drastico calo dei fondi di altri paesi donatori.

A Gaza hanno manifestato e scioperato in migliaia. La protesta si è interrotta dopo le rassicurazioni giunte da funzionari locali dell’Unrwa. Come andranno le cose nessuno lo sa. L’Unrwa al momento non ha fondi per pagare gli stipendi di novembre. «Qui a Gaza si vive alla giornata da anni, non c’è lavoro, siamo in una grande prigione, per molti di noi sopravvivere è già tanto», ci diceva ieri da Gaza Azmi Hijazi, insegnante in una scuola dell’Unrwa. Se Azmi può augurarsi che fondi freschi giungano nelle casse all’agenzia per i profughi, oltre 50mila dipendenti pubblici e le loro famiglie sono allo stremo: da sette mesi ricevono meno della metà dello stipendio già basso.

Il governo del movimento islamico Hamas non ha liquidità. Ha però fatto sapere dell’esistenza di un accordo tra l’Egitto e il Qatar che permetterà di aggirare l’opposizione di Israele all’uso delle donazioni per gli stipendi dei dipendenti pubblici a Gaza. Doha acquisterà carburante in Egitto e lo invierà ad Hamas. Il movimento a sua volta venderà il carburante a Gaza e utilizzerà i ricavi per pagare i dipendenti pubblici. Le cose però non sono così lineari. Il Qatar conferma solo l’accordo con l’Egitto per l’acquisto del carburante e di materiali per la ricostruzione di Gaza, dopo l’escalation militare tra Hamas e Israele del maggio scorso. E non ha fatto menzione di una intesa specifica per gli stipendi. Israele insiste di non essere parte dell’accordo ma è chiaro che le forniture di carburante non sarebbero possibili senza il suo consenso. Potrebbe essere un passo verso l’accordo per una tregua a lungo termine tra Hamas e Israele e per lo scambio di prigionieri di cui si parla da tempo.