Hamas ha arrestato i miliziani del Jihad Islami responsabili del lancio di cinque razzi martedì sera verso Israele perchè, ha spiegato una fonte del movimento islamico, quanto è accaduto va contro gli interessi di Gaza e gli interessi nazionali palestinesi. I reparti di sicurezza di Hamas, nonostante i bombardamenti israeliani su Gaza compiuti ieri prima dell’alba, sono stati ugualmente dispiegati in vari punti della Striscia per impedire eventuali altri lanci di razzi. Lo stesso Jihad Islami ha partecipato agli arresti dei sospetti che avrebbero agito senza il sostegno della leadership dell’organizzazione, in conseguenza di una disputa interna cominciata dopo la nomina di un nuovo responsabile militare nel nord di Gaza. Di questo e della situazione politica a Gaza abbiamo parlato con l’analista palestinese e docente universitario Mukheir Abu Saada.

 

Alle conseguenze devastanti di “Margine Protettivo” e del blocco che da anni attuano Israele ed Egitto, si aggiunge un crescente caos politico che neanche il pugno di ferro di Hamas pare riuscire a tenere sotto completo controllo. Per Gaza esiste una via uscita da tutto questo.

L’uscita da questa catastrofe che peggiora con il passare dei giorni, dipende prima di tutto dai palestinesi. Occorrono una sincera riconciliazione tra Fatah (il partito del presidente Abu Mazen, ndr) e Hamas e l’allargamento alla Striscia di Gaza delle responsabilità del governo di consenso nazionale (nato circa un anno fa, ndr) che deve prendersi cura di tutta la popolazione palestinese nei Territori occupati. Subito dopo è necessario un accordo di tregua permanente tra Hamas e Israele che preveda la costruzione di un porto marittimo per collegare Gaza al resto del mondo. Sono i primi ma fondamentali passi per venir fuori da questa condizione insostenibile. Al momento però non abbiamo alcun segnale che una tregua a tempo indeterminato sarà accettata dalle parti e da Israele in modo particolare.

 

Da settimane però circolano indiscrezioni su contatti segreti tra Hamas e Israele.

Se ne discute tanto ma non abbiamo elementi sufficienti per confermare queste voci. Si dice che il Qatar e la Svizzera starebbero spingendo per portare Israele e Hamas a una intesa non scritta ma il movimento islamico ha smentito con decisione queste indiscrezioni.

 

Qualcosa di vero però sembra esserci visto il nervosismo dell’Autorità nazionale palestinese a Ramallah.

L’Anp e Fatah sono diffidenti verso qualsiasi contatto tra Israele e Hamas, perchè in un modo o nell’altro mette ai margini il ruolo del governo di Ramallah che si considera l’unico rappresentante politico del popolo palestinese, l’unico con la facoltà di negoziare per conto dei palestinesi sulle questioni riguardanti la Striscia di Gaza. Non solo questo. A Ramallah si ritiene che una intesa anche se solo verbale tra Hamas e Israele finirebbe per istituzionalizzare la divisione tra la Cisgiordania e Gaza (in atto dal 2007,ndr) e per sfociare nella formazione di una entità politica autonoma se non addirittura in un mini Stato palestinese. Ciò spiega la campagna contraria alla possibile intesa sotterranea tra Israele e Hamas avviata dall’Anp e dalla leadership palestinese di Ramallah.

 

Questo scenario certo non dispiacerebbe a Israele ma non verrebbe accettato dall’Egitto di Abdel Fattah al Sisi.

Vero, l’opposizione del Cairo è il vero ostacolo alla realizzazione di questo disegno. L’Egitto conduce una guerra senza sosta contro i Fratelli Musulmani e, di conseguenza, tiene sotto pressione anche Hamas che è il ramo palestinese dell’organizzazione islamista. Come Abu Mazen anche al Sisi non vuole intese tra Israele e Hamas che portino alla creazione di una entità territoriale semiufficiale, di fatto riconosciuta da Israele, governata dal movimento islamico palestinese. A Benyamin Netanyahu non importa nulla delle reazioni di Abu Mazen ma il premier israeliano sa che non può alienarsi le simpatie di un alleato tanto prezioso come l’Egitto.

 

Intese minime con Hamas per mantenere calma la situazione, usando allo stesso tempo le notizie che filtrano per tenere sotto pressione Abu Mazen. Netanyahu pensa in questi termini?

Credo di si. Il premier israeliano non è interessato ad avviare un negoziato serio, concreto con Abu Mazen. Piuttosto pensa a come approfondire la spaccatura interna palestinese, a come allargare la separazione tra Cisgiordania e Gaza, perchè ritiene questo scenario il percorso migliore per impedire l’indipendenza palestinese. In linea con ciò, Israele ha aumentato leggermente il numero dei permessi di spostamento per gli abitanti di Gaza e concesso un lieve allentamento del blocco facendo entrare (a Gaza) qualche autocarro carico di merci e materiali per la ricostruzione. Ovviamente è del tutto insufficiente per i bisogni della nostra popolazione ma abbastanza per creare un conflitto politico tra Cisgiordania e Gaza e per far passare Abu Mazen come un leader isolato e debole, che non rappresenta tutti i palestinesi e non può essere un partner credibile per i negoziati con Israele.

 

Dal vostro punto di vista quali sono gli obiettivi di Netanyahu.

No alla fine dell’occupazione militare dei Territori, no alla nascita di uno Stato palestinese, sì alla divisione del popolo palestinese.