Dal colpo di stato militare del 2013, gli omosessuali egiziani non hanno pace. Ormai nel mirino delle autorità non ci sono solo gli attivisti politici ma tutti i movimenti giovanili. Inclusa la comunità Lgbt in Egitto che, dopo le rivolte del 2011, punta sulla rivendicazione dei diritti omosex in un paese con una schiacciante maggioranza di musulmani praticanti, dove le libertà sessuali sono un tabù.

E così, in seguito alla repressione del dissenso, voluta dall’esercito, anche gli omosessuali egiziani sono finiti tra le sbarre. L’ultimo caso riguarda un presunto «matrimonio gay» che avrebbe avuto luogo al Cairo. La pratica è abbastanza comune in Egitto, soprattutto nelle aree urbane, e prevede che i due coniugi, dello stesso sesso, vivano insieme senza alcuna registrazione ufficiale ma con una certa condiscendenza del vicinato che conosce lo status dei due compagni e non indaga troppo. Ma questa volta, la pratica, ufficialmente inesistente, è stata ripresa da una telecamera, suscitando non poche polemiche.

La repressione dei gay egiziani

egitto matrimonio gay incriminato sett 2014
La scorsa domenica la polizia ha arrestato sette uomini che avrebbero preso parte a un matrimonio gay sul Nilo. In assenza di una legge che proibisca direttamente le pratiche omosessuali, i sette sono accusati di «libertinaggio» e «violazione della pubblica decenza». Il video circola da mesi su Youtube e raffigura due uomini in abiti eleganti che si scambiano gli anelli davanti a un gruppo di amici a bordo di uno dei lussuosi barconi che ormeggiano lungo il Nilo. Tuttavia, per difendersi, uno degli uomini presenti nel video ha telefonato alla popolare trasmissione televisiva di Tamer Amin, spiegando che si trattava solamente di una festa di compleanno. L’uomo, che ha assicurato di avere una compagna, ha anche aggiunto, in condizioni di anonimato, che dal giorno della diffusione del video, sta subendo gravi minacce.

Ma non si tratta di un caso isolato. Lo scorso aprile, tre uomini sono stati condannati a otto anni e un quarto a tre anni di prigione in riferimento alle loro pratiche omosessuali. Gli uomini sarebbero stati arrestati in un appartamento di Medinat Nassr, quartiere residenziale del Cairo, mentre erano vestiti da donne. Non solo, lo scorso ottobre, 14 uomini sono stati arrestati nel quartiere periferico di el-Marg, in una clinica, dove avrebbero commesso «atti osceni». Il centro medico è stato in seguito chiuso. Eppure dall’inizio delle rivolte, nel centro del Cairo continuano ad aprire locali «gay friendly», dai caffè siriani su via Hoda Shaarawy al bar Kafein, senza suscitare particolare clamore.

Primavera Lgbt, speranza fallita

Nel 2011, piazza Tahrir raccolse le rivendicazioni di tutti gli emarginati della società egiziana: dalle donne ai migranti, dai tifosi di calcio ai poveri, dai lavoratori ai venditori ambulanti. Non solo, all’incrocio tra la piazza e via Talaat Harb, all’angolo della fermata della metro Sadat e sui cancelli di fronte al fast food KFC, si svolgeva un’altra silenziosa rivoluzione. Si raccoglievano lì, durante le manifestazioni anti-Mubarak prima e anti-Morsi poi, o in normali giorni di lavoro, gruppi di giovani omosessuali. Ora continuano ad incontrarsi in luoghi diversi del centro urbano semplici amici, rigorosamente solo uomini, passeggiando per le stradine, circondate dai palazzi di inizio Novecento, e spesso raggiungendo Borsa, un’area pedonale composta da decine di minuscoli caffè, di fronte alla chiesa cristiano-armena e a due passi dalla «Piazza Affari» egiziana.

Questi ragazzi si ritrovano ancora in punti di incontro anonimi come piazza Ramsis, a due passi dalla moschea el-Fatah. Ma un alone di tristezza, mista a ottimismo, si legge nei volti di questi ragazzi seduti al Borsa. Anche i giovani omosessuali egiziani hanno tentato di fare la loro rivoluzione. Per esempio, i due attivisti Lgbt, Mohammed e Yosri hanno dato per decine di volte appuntamento ai loro amici per una sorta di «Cairo Gay Pride» in piazza Tahrir, ma spesso non si sono presentate che poche persone.

Non ci sono casi di eclatanti repressioni degli omosessuali egiziani. Ma un episodio è rimasto negli annali. Si tratta della «Queen Boat». Era l’11 maggio 2001 quando ufficiali della polizia e della sicurezza di Stato hanno fatto irruzione su questa imbarcazione, ancorata sul Nilo, e hanno arrestato oltre cinquanta persone. Era noto che si tenessero qui feste a cui prendeva parte la comunità omosessuale egiziana. L’accusa mossa contro alcuni degli arrestati è stata di prostituzione maschile. Secondo testimonianze raccolte da alcuni attivisti per i diritti umani, gli imputati sono stati umiliati fisicamente e psicologicamente, sottoposti a inutili visite anali per verificare se avessero avuto rapporti sessuali. Tuttavia, gli arrestati non hanno mai ammesso di essere omosessuali nel corso del processo.

ll caso «Queen Boat», è stato ampiamente raccontato dalla stampa. L’attivista per i diritti umani, Hossam Bahgat collegò il caso direttamente alla repressione politica della Fratellanza. In quegli anni, i Fratelli musulmani accusavano il regime di non fare abbastanza contro le tendenze contrarie all’islamizzazione della società egiziana. E con la puntualità tipica dei regimi autoritari ecco servito il caso «Queen Boat». In realtà, tra il 2000 e il 2005 aumentava notevolmente il numero di arresti di omosessuali in concomitanza con le nuove rivendicazioni della comunità Lgbt egiziana.

Nelle eterie tra cinema e hammam

E così, gli egiziani hanno spesso dovuto trovare luoghi particolari, isolati, bui o poco frequentati per vivere la propria omosessualità. I luoghi dove sono comuni gli incontri tra uomini sono i pochi e antichi hammam rimasti nella città antica, dal souk del quartiere Bab el-Louk all’antichissimo hammam di Bab Shareyya. Il vapore nasconde i volti di questi uomini che spesso festeggiano come in un’eteria il loro addio al celibato.

Altro tipico luogo di incontro sono i cinema di quartieri disagiati. A Boulaq Abul-Ela, nel buio del cinema M., si attardano decine di giovani e anziani che entrano alla rinfusa. Già nel fare i biglietti si nota qualcosa di strano. Ma all’ingresso si apre un luogo incredibile: la luce entra dalle finestre le cui tende sono quasi completamente strappate. Il palco al centro ha statue grandi ai lati, segni di un tempo fastoso in cui il cinema era frequentato da altro pubblico.

Mentre thriller e film commerciali scorrono sugli schermi, solo gli occhi di qualcuno sono rivolti alla pellicola: forse gente di passaggio che non sa dove si trova. Gli altri che occupano le sedie semidistrutte del cinema si alzano alla ricerca di incontri. È chiaro che, reprimendo la comunità omosessuale che avanza le prime richieste di diritti omosex in Egitto, l’esercito crede di mostrare di opporsi a ogni tendenza anti-islamica, presente nella società, per avere le mani libere e continuare a reprimere i movimenti islamisti, duramente censurati dopo il colpo di stato militare.