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Gauffier, dall’Antico allo chic nella dorata luce italiana

Gauffier, dall’Antico allo chic nella dorata luce italianaLouis Gauffier, "Octave et Cléopâtre", 1787-’88, Edimburgo, National Gallery of Scotland

A P oitiers, Musée Sainte-Croix, «Le voyage en Italie de Louis Gauffier», a cura di Michel Hilaire e Pierre Stépanoff Pittore di storia nel solco di David, ma più idilliaco, si specializzò poi nei ritratti, fra il Grand Tour e le brillanti uniformi napoleoniche. Fu delicato paesaggista. Da Roma a Firenze, una breve parabola, placida e radiosa nell’Europa in tempesta

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 11 dicembre 2022
Louis Gauffier, “Portrait de jeune homme avec son chien”, 1796, coll. priv.

La mostra «Le voyage en Italie de Louis Gauffier» è curata
da Michel Hilaire, direttore  del Museé Fabre di Montpellier,
e da Pierre Stépanoff,  che ne è conservatore. Abbiamo
chiesto a quest’ultimo di presentarla.

Louis Gauffier, “Vue sur la vallée de l’Arno à Florence”, 1795, Montpellier, Musée Fabre

Nella vasta costellazione di artisti che durante il Settecento viaggiarono e soggiornarono in Italia, Louis Gauffier (1762-1801) è senza dubbio uno dei più affascinanti. La breve parabola di questo pittore francese nato a Poitiers si svolse quasi interamente in Italia, a Roma e poi Firenze, tra il 1784 e il 1801. L’artista fu testimone di un’epoca turbolenta: promesso a una carriera di pittore di storia, a Parigi sotto la protezione del Re di Francia, dopo lo scoppio della Rivoluzione scelse l’Italia quale seconda patria. Divenuto ritrattista dell’élite europea, assistette agli ultimi fuochi del Grand Tour, prima che la guerra sconvolgesse l’Europa provocando la discesa delle truppe francesi in Italia nel 1796. Eppure, niente nelle opere placide e radiose di Gauffier evoca le tempeste della Storia. Particolarmente sensibile alle bellezze della natura, il pittore ci ha lasciato, firmati e datati, alcuni raffinati paesaggi che sono altrettanti omaggi visionari alle meraviglie della Toscana.
Il 2022 segna una svolta nella fortuna critica di un artista a lungo dimenticato, grazie alla prima grande retrospettiva a lui dedicata, inaugurata la scorsa estate al Musée Fabre di Montpellier. Questo museo venne fondato dal pittore François-Xavier Fabre (1766-1837), che di Gauffier fu amico intimo, condividendone l’esperienza in Italia prima di tornare nella città natale, Montpellier, a cui donò la propria collezione di tesori d’arte. A questo ricco assortimento appartengono una quindicina di dipinti e altrettanti disegni dell’amato Gauffier: un nucleo di opere che, integrato con generosi prestiti da istituzioni francesi e internazionali, è servito da base per l’organizzazione della mostra a Montpellier. Il Musée Sainte-Croix di Poitiers, città di origine del pittore, ha voluto associarsi al progetto e ospitare l’esposizione tra le proprie mura fino al 12 febbraio 2023.
Sebbene la porzione più nota e accessibile della sua produzione sia costituita da ritratti e paesaggi, Gauffier si formò inizialmente come pittore di storia. Giunto a Parigi dalla natia Poitou all’età di 17 anni nel 1778, apprese i rudimenti del mestiere presso la bottega di Hugues Taraval, seguendo nel frattempo i corsi di disegno all’Académie royale de peinture et de sculpture. Il gusto parigino entrava in quel periodo in una fase di radicale mutamento, con i giovani artisti, Jacques Louis David in primis, che avevano superato lo stile rocaille e tramite il recupero dell’Antico portavano avanti un nuovo movimento, che la storia dell’arte ricorda con il nome di «neoclassicismo». Vi partecipò anche Gauffier, che attinse dai modelli della statuaria antica così come dai pittori classici, da Raffaello e Nicolas Poussin.
Nel 1784 vinse ex aquo con Jean Germain Drouais, l’allievo prediletto di David, il Grand Prix de Rome, che gli permise di soggiornare quattro anni a Roma a spese del Re presso l’Académie de France, al tempo ubicata a Palazzo Mancini, nel cuore della città eterna. Grazie agli album pieni di superbi disegni a penna e acquarello conosciamo le sue peregrinazioni tra i ruderi e i monumenti di Roma, e i suoi meticolosi studi delle antiche sculture ammirate in Vaticano o in Campidoglio. Nei dipinti ispirati all’Antico Testamento ed entusiasticamente commentati dalle gazzette artistiche italiane, dimostra una sensibilità idilliaca assai diversa dall’arte di David e seguaci. Il paesaggio, che nelle sue composizioni ha sempre un ruolo importante, è uno scrigno accogliente, vivificato da ben controllati effetti luministici che suscitano una poesia nobile, pacata e senza tempo. In Octave et Cléopâtre, quadro di eccezionale perizia archeologica, il giovane artista sfoggia tutta la propria cultura, e nella fattispecie una profonda conoscenza della civiltà egizia.
Il soggiorno romano diede inoltre modo a Gauffier di incontrare la sua futura moglie, Pauline Châtillon, una giovane francese alla quale impartiva lezioni di disegno.
Nella primavera del 1789, terminata la borsa di studio, Gauffier rientrò a Parigi e si dedicò a preparare gli esami dell’Accademia e il debutto al Salon, la cui apertura era prevista per il 25 agosto. Ma il mondo artistico annaspava sotto l’urto della Rivoluzione. Risoluto nonché ansioso di riabbracciare la fidanzata, Gauffier tornò a Roma alla fine dell’anno e nella primavera del 1790 sposò Pauline. Da quel momento si inserì sempre più nella società internazionale dell’ambiente artistico romano.
Gauffier si guadagnò fama di pittore storico scrupoloso, dotato di grande erudizione, rigorosamente classicista, impeccabile nell’esecuzione e capace di infondere nelle proprie opere una morbidezza che ne accresceva il fascino. In particolare, eseguì una serie di dipinti per Thomas Hope, giovane viaggiatore appassionato di antichità, allora impegnato in un Grand Tour decennale attraverso l’Europa e il Mediterraneo, da cui in seguito riporterà a Londra una favolosa collezione. Ma nel gennaio 1793 le tensioni tra la Francia rivoluzionaria e lo Stato pontificio culminarono in due violenti moti antifrancesi che costrinsero Gauffier, la consorte e i loro due figli a trasferirsi in Toscana, rimasta cautamente neutrale nel conflitto europeo. Il pittore si rifiutò di tornare in Francia e venne quindi considerato un esule traditore della patria.
La sua carriera cambiò radicalmente: lavorando con una clientela di viaggiatori europei, abbandonò a poco a poco la pittura storica per convertirsi all’arte del paesaggio e del ritratto. La formula che elaborò sugli esempi di Batoni e della pittura inglese vede il personaggio inserito in scenari evocanti Firenze e la Toscana. Qua si scorge la cupola di Santa Maria del Fiore, là la torre di Palazzo Vecchio; riconosciamo la luminosa Valdarno o gli incanti del Parco delle Cascine. Il piccolo formato suggerisce un senso di familiarità con i modelli, che scrutano lo spettatore sorridendo in pose eleganti e disinvolte. Il duca di Sussex, il figlio del re d’Inghilterra Giorgio III, il diplomatico portoghese Lourenço de Lima, l’avventuriero svedese Gustaf Moritz Armfelt, il pittore Coclers van Wyck di Liegi, la scandalosa Lady Webster, tutti sfilano nello studio di Gauffier ostentando una vivacità interiore, un’affabilità propiziatrice di incontri, intrighi e passioni, nella sublime cornice dell’Italia rivelata. Nell’Europa dilaniata dalla guerra, questi ritratti trasmettono un che di malinconico. Ciò è soprattutto evidente nell’enigmatico Portrait de jeune homme avec son chien, che raffigura un personaggio tuttora anonimo al riparo in una natura benevola, ai margini della città. Il sorriso delicato e lo sguardo penetrante sembrano tradire una certa nostalgia di cui il solo confidente è chiaramente il fedele compagno a quattro zampe. L’arrivo dei francesi a Firenze nel 1796 diede nuova linfa a questa tipologia di ritratti, introducendo la chiassosa sciccheria delle uniformi rivoluzionarie. Per celebrare i valori familiari e repubblicani propri della rampante borghesia francese che aveva scalzato l’antica aristocrazia, Gauffier sperimentò il genere britannico del Conversation piece, che in un unico ritratto collettivo adunava più modelli intenti a scambiarsi segni di affetto e tenerezza.
A beneficio dei clienti desiderosi di conservare un ricordo del loro viaggio, Gauffier praticò inoltre la pittura di paesaggio, di cui ci restano cinque composizioni di singolare forza visionaria. Un primo magistrale esemplare è Vue sur la vallée de l’Arno à Florence, del 1795, veduta panoramica dell’Oltrarno e della campagna fiorentina al di là dei bastioni, dove la luce dorata quasi fonde insieme cielo e terra; in primo piano, le contadine con i loro bambini sembrano godersi gli ultimi raggi di luce dopo una giornata di lavoro. Il ciclo dell’abbazia di Vallombrosa, realizzato tra il 1796 e il 1797, è l’apice della sua arte paesaggistica. Le quattro vedute invitano lo spettatore a seguire il percorso di due turisti in questo luogo frequentatissimo dai viaggiatori del Grand Tour. L’artista consegue qui una sintesi di notevole originalità tra la contemplazione delle bellezze naturali e la narrazione poetica di un indelebile ricordo. Il ciclo, purtroppo smembrato e attualmente diviso tra il Musée Fabre, il Philadelphia Museum e il San Francisco Museum of Fine Arts, è stato ricomposto per la prima volta dopo sessant’anni, in occasione della mostra.
L’esposizione ha per altro fornito l’opportunità di esibire al pubblico una serie di lavori eseguiti all’aperto: studi di alberi, cortecce, fogliame, scorci di cielo e modulazioni di luce, tanti esercizi svolti dall’artista nel corso della carriera, a formare un repertorio utilissimo in atelier per composizioni più accurate.
Gauffier morì tragicamente a Firenze nel 1801 all’età di 38 anni, tre mesi dopo la moglie Pauline, anch’essa valente pittrice. La mostra ha permesso di riscoprire la complessità e al contempo la coerenza della sua brevissima carriera. I tanti talenti di Gauffier, ugualmente a suo agio nella pittura di storia, nella ritrattistica e nella veduta, trovano unità nella luce dorata tipicamente italiana che così bene l’artista seppe riprodurre in omaggio alla penisola divenuta sua patria d’elezione.
traduzione di Paolo Martore

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