«Ricordo che la prima volta ebbi l’impressione di esser finito ne La Dolce Vita ed ogni volta che ci torno è ancora un po’ così; l’intera città si trasforma in un gigantesco red carpet». Leonardo Di Caprio parla del festival vissuto la prima volta poco più che ventenne, come interprete del Titanic che l’avrebbe catapultato nella alla super-celebrità che all’epoca rischiò di inghiottirlo. L’anno prima, ancora teenager emergente, aveva girato Romeo+Juliet, uno degli adattamenti più azzeccati e originali della commedia shakespiriana, per un regista australiano ancora quasi sconosicuto fuori dai festival e dai circuiti d’essai.

La prossima settimana Di Caprio e Baz Luhrmann saranno nuovamente assieme sulla Croisette per presentare un altro film che rivisita un classico letterario: stavolta è il Grande Gatsby, il romanzo di F. Scott Fitzgerald sul misterioso magnate di Long Island (un uomo enigma, in parte affine al Kane di Orson Welles) e la sua fatale ossessione per Daisy, l’amante proibita per cui inventa un mondo di rutilante eccesso. Questo Gatsby è il quarto adattamento cinematografico del romanzo-capolavoro di Fitzgerald dopo quello del 1974 di Jack Clayton con Robert Redford (sceneggiata da Francis Ford Coppola), la versione di Elliot Nugent con Alan Ladd nel 1949 e quella perduta girata da Herbert Brenon nel 1926 per Adolph Zukor e Jesse Lassky (a sua volta basata sulla versione teatrale diretta su Broadway quello stesso anno da George Cukor).

Tutte – anche un telefilm del 2000 – versioni piuttosto prosaiche di una storia la cui forza evocativa sta, più che nella trama, nell’invenzione letteraria e nelle atmosfere rese dall’autore.
Quella di Luhrmann è una versione che lo stesso Di Caprio definisce «ad alto rischio», per la spregiudicatezza stilistica per cui è noto il regista ma, aggiunge l’attore, «è un film di cui vado fiero e credo che Cannes sia il luogo ideale per presentarlo ad un pubblico mondiale».

Al di là dell’accoglienza critica che potrà avere, come scelta per l’apertura è ineccepibile, per il glamour che porterà alla prima (con Di Caprio recitano Tobey McGuire, Carey Mulligan, Joel Edgerton e Isla Fisher) e per l’obbligatorio quoziente polemico verosimilmente rappresentato dall’adattamento di un «capolavoro letterario» in 3D con abbondanza di effetti digitali. Anche se la reputazione di Luhrmann come regista innovatore si è un po’ appannata dopo il mega feuilleton di Australia, artisticamente, il regista di Ballroom Dancing in qualche modo ha comunque il fisique du rôle dell’iconoclasta e, secondo Di Caprio, anche un’affinità naturale con il soggetto.

Nella fattispecie, le megafeste di Gatsby con tutto l’eccesso mondano dell’epoca proibizionista e della New York anni ’20 sono rese da Luhrmann nello stile pop-barocco già applicato alla Parigi Belle époque di Moulin Rouge: i questo caso, un remix di «roaring twenties» infuso di hip hop com’è nelle corde «ibridanti» del regista che spiega: «Fitzgerald era un modernista, il suo romanzo è venato di jazz. Oggi viviamo in un’era hip hop e quindi avevo l’idea di mescolare jazz e hip hop, soprattutto quando Di Caprio mi ha presentato Jay-Z (autore delle musiche, ndr). Volevo ricreare la sensazione che si era avuta leggendo il libro nel 1925 quando il jazz, la colonna sonora del romanzo, era non una musica ’d’epoca’, ma il furore contemporaneo».

[do action=”citazione”]«Credo che Baz sia un po’ Gatsby. Non ho mai incontrato nessuno capace di ’manifestare’ la propria esistenza secondo i propri sogni, come fa Baz Luhrmann. Possiede un entusiasmo contagioso per la vita e l’arte ed è impossibile, quando ci lavori, non essere completamente coinvolti in questo suo mondo»[/do]

Malgrado questo e l’identificazione più esplicita del personaggio narrante Nick Carraway con lo stesso Fitzgerald, Luhrmann rivendica una fedeltà al testo del libro maggiore che nei precedenti adattamenti. «Lo abbiamo letto e riletto non so quante volte», conferma Di Caprio, «lo abbiamo discusso in gruppo per cercare di arrivare all’essenza, all’intento originale di Fitzgerald. Abbiamo consultato i massimi esperti ciritici e anche letto il suo Trimalchio: ci è stato di grande aiuto». Trimalchio era il titolo originale dell’opera che dalla Francia (il libro fu terminato nel 1924 a San Raphael, proprio nei pressi di Cannes) Fitzgerald aveva inizialmente spedito a Scribner’s, il suo editore di New York. Il romanzo era stato impaginato, ma dopo aver riguardato le bozze, Fitzgerald aveva riscritto intere parti del lavoro rispedendo alla casa editirice la versione definitiva col nuovo titolo di Great Gatsby. Quel primo titolo ’provvisorio’ era una citazione di Trimalcione, il personaggio del Satyricon, l’ex schiavo che nel racconto di Petronio Arbitro offre l’opulenta e dissoluta cena a nobili commensali, meno ricchi di lui, ma che tuttavia lo deridono per il suo rango sociale inferiore.

Pur avendone in seguito cambiato il titolo, anche nel romanzo definitivo Fitzgerald conserva la metafora e la voce narrante si riferisce al protagonista, appunto, come «a un Trimalcione», per sottolineare l’impossibilità di Gatsby di comprare, assieme alla villa, ai ricevimenti e al lusso sfrenato, il posto che vorrebbe nella high society di Long Island. Sullo sfondo del misterioso tycoon che alle sue leggendarie feste invita governatori e stelle del cinema, c’è l’impietosa demarcazione sociale che è alla radice dell’ossessione del protagonista, miliardario venuto dal nulla e destinato a rimanere eterno escluso. Lo «straordinario dono della speranza» che Fitzgerald conferisce a Gatsby si tinge così di amara ironia e il personaggio diventa simulacro ribaltato dell’ottimismo americano e della solare mitologia nazionale del self-made man. Fitzgerald, come l’amico e altro contemporaneo precursore modernista Nathanael West (Il Giorno della Locusta) è anche acuto osservatore e cronista della disperazione che si nasconde dietro al materialismo e alla violenza «idiomatica» dell’esperienza americana.

È Gatsby l’uomo che inizialmente appare come maestro manipolatore che finisce per rivelarsi il vero illuso – protagonista di un amore impossibile e di un sogno altrettanto vano di assimilazione sociale, improbabile come il boom che all’orizzonte avviluppa i grattacieli scintillanti di New York in una sbornia destinata a postumi dolorosi. «Appare inizialmente come un personaggio assolutamente amorale», afferma Luhrmann, «un affarista che ha fatto i soldi con manipolazioni illecite del mercato, o chissà quali oscuri e misteriosi affari. Poi invece emerge che si tratta di un personaggio che ha un singolo obbiettivo; lui è, in un certo senso, ’ipermorale’. Secondo me è ciò che rende Gatsby l’equivalente americano di un Amleto, un paradosso che può essere interpretato e adattato con infinite sfumature a diverse epoche, un vero classico». Naturale, dunque, che il ruolo abbia attratto Di Caprio: lo considera parte di un trittico sul lato oscuro del mito americano assieme al proto-capitalista schiavista Candie da poco visto in Django e a Jordan Belfort, banacarottiere amorale degli anni ’90 che interpreterà nel prossimo Wolf of Wall Street di Martin Scorsese.

«Credo che Gatsby si rivolga ancora a tutti noi. È un romanzo universale il cui sfondo anticipa il grande crollo di Wall Street negli anni ’30», spiega l’attore. «Lo prefigura attraverso il grande eccesso degli anni ’20. Parla di un periodo in cui l’America stava diventando una superpotenza attraverso una sorta di anomalia aristocratica che era l’alta società di Long Island. E accanto a loro, c’è la valle delle ceneri che devono attraversare per andare a New York, il luogo dove abita la classe operaia che rende possibile il lusso sfrenato. È profetico: parla del crollo inevitabile già qualche anno prima che avvenisse, e quindi di quel ciclo che si ripete da 80 anni, in America e nel mondo. Continuamo a ’progredire’ senza alcuna comprensione del prezzo da pagare. Fitzgerald ha perfettamente colto l’ingenuità e arroganza del progresso umano».

Quanto a Luhrmann, forse in previsione di una accoglienza non uniformemente positiva al suo film, mette le mani avanti. «Verso la fine della sua vita Fitzgerald girava per le librerie comprando copie del suo stesso romanzo per alzare le quote di vendita del libro che era stato rapidamente dimenticato. Ora, per l’interesse suscitato dal film, il Grande Gatsby è tornato al primo posto nelle classifice Amazon. Nelle ultime settimane ha venduto più copie di tutte quelle vendute durante la vita del suo autore. E per me questo può già bastare».