Un miliardo di euro in cambio della fine delle sanzioni americane sul gasdotto Nord-Stream2. Spunta, sei mesi dopo la spedizione, la lettera riservata datata agosto 2020 e firmata dal vicecancelliere tedesco Olaf Scholz, attuale ministro delle Finanze e candidato cancelliere della Spd alle elezioni federali del prossimo settembre. Certifica nero su bianco il tentativo di scambio sottobanco tra la Germania di Angela Merkel e gli Usa di Donald Trump per disinnescare la «guerra del gas» sul Mar Baltico.

«Il governo tedesco è disposto ad aumentare il suo investimento nelle infrastrutture di gas naturale liquefatto (Gnl) fino a un miliardo». Tradotto, significa che Berlino si impegna a costruire due rigassificatori a Brunsbüttel e Wilhelmshaven per importare il gas americano estratto con la devastante tecnica del fracking: molto meno redditizio di quello fornito da Mosca ma perfetto per far quadrare i conti delle imprese energetiche Usa.

Così è riportato nella missiva inviata l’estate scorsa a Steven Mnuchin, segretario al Tesoro degli Stati uniti fino all’insediamento dell’amministrazione Biden. La pietra del scandalo che ora deflagra in Germania per due motivi: il patto è indecente sotto il profilo ambientale e il ministro Scholz lo avrebbe chiuso tenendo politicamente all’oscuro i deputati del Bundestag. Il documento è diventato di pubblico dominio solo grazie alla rivelazione di Deutsche Umwelthilfe, l’associazione ambientalista tedesca che due giorni fa ha caricato sul proprio sito web le prove delle manovre sotterranee del numero due della Grande coalizione. «Prendiamo atto che per Scholz la protezione ambientale si riduce a un mero esercizio verbale» scandisce il portavoce della Ong, inchiodando il vice-cancelliere alle sue ripetute dichiarazioni in favore della lotta ai cambiamenti climatici.

DAVVERO UNA BELLA GRANA per Scholz impegnato a costruire la campagna elettorale per la successione di Merkel alla cancelleria. Anche perché il suo piano si è rivelato fallimentare da tutti i punti di vista: il ministro Spd avrebbe «tradito» la svolta ecologica senza riuscire ad ammorbidire gli americani sulle sanzioni alle imprese coinvolte nel raddoppio del Nord-Stream, che anzi sono state rinnovate lo scorso 5 dicembre. In buona sostanza, l’amministrazione Trump non si è “bevuta” la sua proposta di scambio.

«IL VETO AL GASDOTTO sul Mar Baltico non ci serve per vendere il nostro Gnl in Europa bensì per contrastare le azioni dannose della Federazione russa, a partire dall’uso della questione energetica come mezzo di coercizione politica ed economica» si legge nell’informativa inviata alla Casa Bianca dai consiglieri americani lo scorso agosto. Porta chiusa a Washington, insomma. Mentre si spalanca quella del Parlamento dopo che mercoledì la deputata Verde, Britta Hasselmann, ha chiesto a Scholz di presentarsi in Aula per un question-time sulla Russia non circoscritto al caso Navalny.

Una mossa mal digerita dalla Spd, al punto che il ministro degli Esteri, Heiko Maas, accusa l’opposizione di volere strumentalizzare «una vicenda nota fin da settembre 2020». Tuttavia, Maas non smentisce il contenuto della lettera del compagno di partito, sebbene «negli ambienti della GroKo finora si era sempre garantito che i rigassificatori per il Gnl rappresentavano progetti puramente privati nei quali lo Stato aveva dichiarato di non volere interferire» come ricorda la Berliner Zeitung.

UNA RICOSTRUZIONE stridente con la narrazione ufficiale, nonostante le spiegazioni fornite dai diplomatici Usa a Berlino «sorpresi» per lo scoppio ritardato dell’affaire Nord-Stream.

«Per noi la lettera del ministro delle Finanze non ha mai rappresentato un problema né è mai stata presa davvero in considerazione dal nostro governo» assicurano gli americani. Con il portavoce dell’ambasciata a Berlino, Joseph Giordono-Schulz, poco disposto a «commentare il contenuto di una nota diplomatica» ma pronto a ribadire «la netta opposizione di Washington ai progetti russi destinati ad aumentare la dipendenza del mercato energetico europeo da un unico fornitore, con il rischio di isolare i Paesi dell’Est prima della discussione sulle esportazioni di gas».

RECEPITO O MENO il clamoroso invito di Scholz all’amministrazione Trump resta un problema politico impossibile da ignorare o, peggio, da scaricare sul portavoce del ministero delle Finanze, Christoph Kuhn, o sulla collega Ulrike Demmer cui è affidata la comunicazione ufficiale del governo Merkel: entrambi l’estate scorsa avevano giurato di non avere alcuna notizia di accordi tra Germania e Usa.

Tuttavia, la promessa scritta di «aumentare in modo massiccio il finanziamento pubblico per i terminal destinati al Gnl» affacciati sulla costa tedesca del Mare del Nord deve avere necessariamente ricevuto il via libera al massimo livello politico-istituzionale. Lo stesso incarnato dal vice-cancelliere socialdemocratico che oggi nega in blocco le accuse denunciando la campagna di «disinformazione» dell’opposizione al Bundestag.