Per il trentenne Alberto Garzón si apre un duro periodo di traversata nel deserto. Lui e i suoi entusiasti militanti (che erano riusciti domenica a fare di #Garzoners il trending topic di Twitter durante quasi tutta la giornata) ci credevano a un risultato migliore. Speravano che i sondaggi si sbagliassero e che avrebbero ottenuto almeno i 5 deputati necessari per formare gruppo proprio al Congresso. Invece niente.

Quasi un milione di voti, settecentomila meno che nel 2011 (senza Podemos). Due deputati, eletti a Madrid. Più tre nelle coalizioni catalane e galiziane. Poca roba rispetto alle ambizioni.

Garzón è l’unico candidato che ammette esplicitamente la sconfitta. Domenica notte ha chiarito di essere deluso per non aver raggiunto né l’obiettivo dei 5 deputati, né quello che il Pp non arrivasse primo.

Nel 2011 Izquierda unida aveva ottenuto 11 deputati, fra cui lo stesso Garzón. Un risultato analogo a quello di domenica fu nel 2008, ma allora – sempre con due deputati – non c’erano i voti all’interno delle coalizioni.
In tutti i casi, pur castigato dalla legge elettorale, il partito – che rimane comunque il quinto a livello nazionale per numero di voti – vuole combattere.

Il gruppo parlamentare (fondamentale anche per ricevere i finanziamenti pubblici) potrebbero ottenerlo con qualche escamotage, come quella dei «deputati prestati». Nel 2008 ci erano riusciti.

Ma la questione importante è che Garzón, pur perduta la battaglia per correre assieme a Podemos, insiste che quella è la strada, forte dei successi a livello locale. «La sinistra deve ripensare e riflettere sul suo spazio politico», ha detto ieri.

Nonostante la sconfitta, Garzón crede che ci sono le condizioni politiche nel nuovo Congresso per cambiare le leggi più odiose del Pp, dalla legge bavaglio contro le manifestazioni, la riforma del lavoro o la legge sull’educazione: «Non tradiremo il milione di persone che ci hanno votato».

La campagna per Izquierda Unida – che correva anche col nome di Unidad popolar, che era la speranza di poter unificare i vari partiti di sinistra sotto una stessa bandiera – è stata durissima. Sistematicamente esclusa dai dibattiti chiave, nonostante la legge obbligasse a convocarli in quanto partito con gruppo parlamentare uscente, Iu ha combattuto come ha potuto con le armi dei social media (per esempio, la notte del dibattito elettorale a 4 il suo tweet, che si lamentava dell’esclusione, è stato il più ritwittato della campagna) e soprattutto della piazza.

È stato il partito, assieme a Podemos, che ha fatto più incontri con la gente reale, in un paese in cui i principali partiti sono abituati a incontri solo con i propri militanti.

«È stata una bella campagna, da cui abbiamo imparato molto. Sono convinto che sia il germe per qualcosa di buono per il futuro», ha scritto Garzón nel suo profilo di facebook.

È chiaro che il più giovane dei candidati non ha intenzione di gettare la spugna.