Matteo Garrone si presenta in piedi alla platea dei giornalisti che affolla l’Adriano. I titoli di coda di Il racconto dei racconti – Tale of Tales hanno finito di scorrere da poco. Il regista è visibilmente emozionato. Curioso del responso. «Sono un po’ in imbarazzo», esordisce. «Voi siete tanti, io sono solo. Se va bene, vi vedo ogni quattro anni».

Perché Giambattista Basile e il suo Cunto de li cunti? 

A prescindere dalla considerazione banale che si tratta di un autore geniale, quando ho letto i suoi racconti mi sono emozionato per la bellezza dei personaggi e delle storie. La scelta di realizzare un fantasy oggi in Italia è probabilmente una scelta masochista, senz’altro da incosciente. Le storie che abbiamo adattato con gli sceneggiatori (Edoardo Albinati, Ugo Chiti e Massimo Gaudioso) sono La vecchia scorticata, La cerva fatata e La pulce. Dal punto di vista del mio percorso artistico credo che invece di partire dalla realtà contemporanea per farne una rappresentazione trasfigurata ho adottato il procedimento inverso. Mi sono avvicinato a Basile privilegiando un’ottica più realista, più concreta. Di lui ho avvertito immediatamente una forte consonanza rispetto alle mie modalità di mescolare il reale e il fantastico, il comico e il tragico. Naturalmente nell’approccio ai suoi racconti sono stato influenzato molto anche dalla mia formazione di pittore. Nel primo episodio, interpretato da Salma Hayek, abbiamo adottato un timbro più scuro, spagnolo; nel secondo, protagonista Vincent Cassel, nei panni di un re erotomane, domina il rosso, nell’ultimo, dalle atmosfere più inglesi, i toni cromatici sono più freddi. Ovviamente ho studiato molto Goya.

Quali sono i principali rischi nella realizzazione di una produzione complessa come Il racconto dei racconti? 

Il MibacT e Paolo Del Brocco di RaiCinema hanno creduto sin dall’inizio in questa impresa. Considerati i rischi, non mi sembra una cosa da poco. Le difficoltà sono state numerosissime e a ogni nuova fase della lavorazione se ne aggiungevano altre. Questo film in sostanza è quasi autoprodotto. Avevo prodotto anche altri miei film. Questo però è il primo di queste dimensioni che produco. Ho avuto l’aiuto di Alessio Lazzareschi in qualità di produttore esecutivo in tutte le fasi del progetto. Poi sono entrati la Gran Bretagna e la Francia nelle persone di Jeremy Thomas e Anne-Laure Labadie, tax credit interno ed esterno e anche la Apulia Film Commission. Ci tengo a sottolineare un aspetto, però: in italia non ho trovato una banca disposta a concedermi il cash flow per iniziare il film. In Italia nessuna banca, nessuna finanziaria ha creduto al progetto per le piccole dimensioni della mia casa di produzione. Per fortuna in Francia ho trovato una finanziaria che ha creduto nel film. Così pago gli interessi in Francia invece che da noi. Il mio 15% solito l’ho messo completamente nel film. In conclusione devo dire che sono andato d’accordo con me stesso.

Quali sono state le principali difficoltà tecniche incontrate durante la lavorazione? 

Tantissime. Per me abituato a controllare l’immagine dei miei film, avere intorno tantissimi green screen è stata un’esperienza completamente nuova. Ogni reparto si è messo in gioco. Penso a Leonardo Cruciano che ha curato gli effetti speciali. Volevamo mantenere la pasta dell’illustrazione, abbiamo studiato l’araldica, e contemporaneamente conservare la tattilità della carne. Volevamo un drago, ma desideravo che fosse plausibile. Il nostro scopo per quanto riguarda gli effetti speciali era di preservarne la componente artigianale.Rispetto alla mia abitudine di girare in sequenza, devo ammettere di aver compreso che è un lusso. Quando hai attori del calibro di Salma Hayek e Vincent Cassel, dei quali vi risparmio quanto sono pagati al giorno, non puoi assolutamente permetterti di tenerli fermi per tre giorni.

Cosa si aspetta da un fantasy di matrice partenopea? 

In primo luogo mi auguro che il pubblico vada a vederlo. L’apprezzamento dello spettatore è il riconoscimento più importante. Nel film c’è la cultura napoletana ma anche quella italiana. Uno dei rischi di cui ero molto consapevole era di replicare, anche involontariamente, i modelli anglosassoni. Nel tentativo di conservare una personalità e una visione di racconto, è stato molto utile far venire gli americani e gli inglesi da noi, piuttosto che noi andare da loro. Per quanto riguarda i modelli, devo dire che mi piace molto Il trono di spade. Un altro dei modelli, ovviamente, è Mario Bava. Un grande regista e straordinario fotografo. Anche un film come Cosa sono le nuvole, il Pinocchio di Luigi Comencini o L’armata Brancaleone.