Amilcar Cabral è probabilmente uno dei leader della lotta contro il colonialismo portoghese internazionalmente più conosciuto. Guineense, ha guidato il Paigc (Partido Africano da Independência da Guiné e Cabo Verde) fino al momento del suo assassinio nel 1973. Alla vigilia della ricorrenza per la fine del regime salazarista del 25 aprile del 1974, che segnò anche la fine della lunga guerra coloniale, abbiamo cercato di capire con José Neves, professore di storia contemporanea dell’Università Nova di Lisbona, quali siano stati i punti essenziali del pensiero e della formazione di Cabral.

Cabral si laurea a Lisbona in agronomia nella metà degli anni ’40, come avviene la presa di coscienza anticoloniale?

I testi che scrive già prima di arrivare in Portogallo rivelano uno sguardo critico della situazione economica e sociale capoverdiana e di una certa consapevolezza relativa allo stato di vita e delle condizioni di riproduzione sociale della sua popolazione. Il coinvolgimento nel Centro de Estudos Africanos (Ces) di Lisbona implicherà tuttavia una presa di coscienza anticoloniale e africanista che proprio all’interno del Ces si stava formando e che peraltro accompagnava le grandi trasformazioni che dal secondo dopoguerra stavano avvenendo in India, Africa e Cina. Senza ovviamente dimenticare il ruolo cruciale che giocò la Conferenza di Bandung del 1955.

In che cosa si distingue il pensiero di Amilcar Cabral?

È centrale nel pensiero teorico di Cabral l’idea che il marxismo dovesse essere ripensato e interpretato non solo come lotta tra classi ma anche come lotta tra differenti modi di produzione. Questo lo porta a pensare al conflitto politico sia come a un conflitto tra culture – non tanto tra identità nazionali, ma in quanto modi di vita – sia a un conflitto tra economie.

Quindi…

In questo senso Cabral si avvicina alla riflessione maoista per quel che riguarda l’emergenza di protagonismo nella lotta politica della figura del lavoratore agricolo. L’anticolonialismo di Cabral è molto simile nella forma a come pensa la lotta al colonialismo. Non è cioè una battaglia che possa essere spiegata nei termini più immediati dei conflitti tra classi così come si caratterizza nell’Europa occidentale ma non è neanche una lotta che possa essere ridotta a mero confronto tra nazionalismi.

Quale significato riveste il censimento delle popolazioni agricole guineensi che Cabral porta avanti nel 1953?

Il censimento del 1953 è progettato e stilato da Cabral su richiesta del governo coloniale portoghese il quale a sua volta aveva assunto un compromesso con la Fao. Questo studio rappresenta quindi un sapere coloniale che tuttavia consentirà a Cabral di entrare in contatto con le popolazioni rurali, e di approfondire la sua conoscenza delle dinamiche economiche interne.

Esiste un modello di sviluppo specifico pensato per il post indipendenza?

Non credo si possa dire che ci sia un progetto di sviluppo definito in Amilcar Cabral. Il leader del Paigc da un lato mantiene un dialogo con il linguaggio della lotta di classe classica del marxismo nei paesi sviluppati e dall’altro un legame all’idea di conflitto nazionale. Conseguentemente l’oppressione economica è per Cabral un’oppressione che ha a che vedere con un’alterazione dei modi di vita della popolazione, un tentativo di disciplinare la popolazione attraverso il lavoro nel segno di una divisione internazionale.

Economia associata alla cultura e viceversa?

Il pensiero di Cabral è contraddittorio. Da una parte è come se lui avesse coscienza che le popolazioni siano soggetti politici – in un senso antropologico gramsciano in cui l’economia è cultura dei modi di vita della popolazione e non può essere pensata solo nei termini del conflitto di classe classico – perché sono soggetti con una cultura propria. Questo perché lo sfruttamento non è solo una questione economica o l’economia non è solo una questione economica, ma una questione culturale. Da questo punto di vista c’è una grande sensibilità al colonialismo non solo come relazione economica ma anche in quanto tentativo di imporre un modo di vita.

E la contraddizione?

Cabral è fondamentalmente un epistemologo del nord, per ribaltare i termini di Boaventura de Sousa Santos. Molto di quel che lui scrive riflette l’immagine di qualcuno che non riesce a rompere con l’idea che la conoscenza scientifica sia una forma di conoscenza superiore di cultura.

Qual è la visione di potere di Cabral?

Da un lato c’è una concezione, detto sinteticamente, leninista del potere, nel senso che c’è un partito, un esercito e una disciplina. Un’interpretazione se vogliamo funzionale del potere che è strumento di liberazione. Dall’altro lato c’è l’idea che possiamo vincere il nemico solo se al confronto militare e politico riusciamo ad unire nuovi fronti di battaglia economico/culturale/sociale capaci di conquistare le popolazioni. Questo fa sì che ci sia in Cabral una concezione più reticolare del potere che si articola in reti di radicamento territoriale come gli Armazens do Povo o le scuole di partito.

Cosa immaginava Cabral per il periodo post-indipendenza?

Non c’è un’immaginazione programmatica. C’è in Cabral una riflessione su quel che lui chiamerà il suicidio della piccola borghesia. Partendo dal presupposto che la lotta anticoloniale sia guidata da una piccola borghesia, Cabral esprime tuttavia la necessità che, nel periodo successivo alla conquista dell’indipendenza, questa piccola borghesia dovesse fare un passo indietro per evitare che le strutture di potere coloniali fossero ulteriormente riprodotte. Un’idea di potere non centralizzato nella capitale Bissau, come affermò pochi mesi prima di morire, perché se così fosse stato si sarebbero riprodotte le centralità del potere tipiche del colonialismo.

Africanismo e nazionalismo come si articolano in Cabral?

C’è una coscienza africanista in Cabral che è sempre presente e che è da subito evidente dal nome del suo gruppo: partito africano per l’indipendenza della Guinea-Bissau e Capo Verde. I nazionalismi appaiono qui come una questione meramente tattico-strategica, quel che definisce il partito non è l’essere capoverdiano o guineense, ciò che ne definisce l’identità è l’essere africano, un partito africano che ha come obiettivo l’indipendenza. Una concezione supra nazionalista del partito in quanto tale nella quale la lotta nazionalista è pensata come strumentale. Un progetto secondo il quale una volta costituite le indipendenze nazionali sarebbe stato necessario procedere nella direzione della costruzione di un’unità africana. Ciò che caratterizza l’identità del partito è quindi una coscienza post nazionale.

Nazionalismo ed etnie?

L’enfasi che Cabral mette nel modo di produzione è un tentativo di mostrarsi sensibile alla diversità etnica intesa però qui come una sorta di antropologia del modo di produzione di queste popolazioni. Diversità queste che contrariamente a quelle etniche tradizionali non devono essere intese come immutabili ma che devono essere interpretate in termini culturali economici. Cabral sostiene una specie di materialismo culturale ovvero di un’identità suscettibile di essere politicamente trasformata.