Caro Luigi Manconi, cari amici del manifesto che ne avete ospitato l’articolo «Garantismo a sinistra? Ma quando mai!».
Caro Manconi, poiché ci conosciamo da quarant’anni – ed abbiamo militato avventurosamente, e scritto e collaborato insieme quando eravamo più giovani – sappiamo entrambi perfettamente che l’applicazione delle leggi e delle regole, da parte della istituzioni, non può non andare a vantaggio di chi è più debole e svantaggiato.

Cioè dei poveri, dei migranti, dei carcerati, degli anziani, dei discriminati e dei lavoratori. Mi sorprende però, e mi spiace assai, che per difendere questa tesi, che ovviamente condivido, nel tuo articolo tu abbia adottato l’esempio del caso del tuo collega senatore (da Forza Italia a fan di Renzi) Antonio Milo.

I senatori, come te e come Milo, appartengono infatti ad una categoria che di diritti, forse, ne ha incommensurabilmente diversi e privilegiati rispetto a chi deve difenderseli con i denti. L’immunità parlamentare, i privilegi pensionistici e retributivi, i benefit, dei senatori, ti sembrano diritti sociali confrontabili con quelli della generalità cittadini italiani? Non sarebbe stato più giusto, ed anche efficace agli effetti della tua tesi, citare il caso di un lavoratore discriminato, e magari indagato? Una lancia spezzata, una caduta di gusto, un po’ corporativa, la tua. Che mi dispiace proprio perché apprezzo invece il tuo lavoro a difesa dei deboli.

E mi sarei atteso una tua parola, magari, sulla questione della abolizione dei diritti sanciti dall’art 18, a cura del partito in cui sei stato eletto. Senatore, come il povero perseguitato Antonio Milo. A proposito, come voterai, da garantista, sul Job Act? Con quarantennale simpatia, ormai, e comunque.

Alberto Poli, Roma

Rispondo all’amico Alberto Poli e ad altri che mi hanno scritto, ponendo a mia volta una domanda semplice semplice: se sottraessimo un po’ di diritti e di garanzie a un senatore indagato e acconsentissimo ad abusi nei suoi confronti, si contribuirebbe, con ciò, a rafforzare le tutele per i «più deboli e svantaggiati»?

La mia risposta è un netto «no». Dico di più: non opporsi a violazioni delle garanzie nei confronti di un cittadino, qualunque sia il suo status, finisce inevitabilmente per consolidare la tendenza a commettere quelle violazioni da parte di chi è titolare del delicatissimo potere di privare della libertà. E, di conseguenza, quelle violazioni tenderanno a ripetersi e nei confronti del potente e nei confronti del debole. Così come, su un altro piano se non denunciassimo con la massima determinazione il modello di fermo violento da parte dei carabinieri nei confronti del «borghese» Riccardo Magherini a Firenze, forse che avremmo più forza ed efficacia per condannare il modello di fermo violento nei confronti del «clandestino» Bohli Kayes a San Remo? In altre parole, i diritti non sono divisibili. D’altra parte, per il pochissimo che so e posso fare, da sempre dedico il 99% delle mie energie a favore dei «poveri, migranti, carcerati…» citati nella lettera di Poli; e l’1% delle mie energie a favore dei diritti dei «privilegiati».

Infine, per quanto riguarda la mia posizione sull’articolo 18, un lettore del Manifesto non la conosce semplicemente perché non posso abusare della generosa ospitalità di questo giornale e invaderlo con i miei scritti. Ad Alberto Poli e ai pochi che fossero interessati, dico che sono tra i firmatari dei 7 emendamenti alla legge delega di riforma del mercato del lavoro. Insomma, sono contrario all’abolizione dell’articolo 18. Per chi fosse, poi, davvero curioso di conoscere per esteso la mia posizione, come si dice in questi casi, rimando (vergognandomi un po’) alla mia pagina Facebook.

Luigi Manconi