Con le scuole chiuse in seguito alla pandemia del Covid-19, non è solo l’attività didattica a venir meno, ma anche il servizio di refezione scolastica. Soprattutto per bambini provenienti da famiglie in condizioni di esclusione sociale, tale servizio costituisce un presidio fondamentale per il diritto al cibo e all’istruzione. La mancanza dei pasti scolastici porta con sé il rischio concreto di minare ulteriormente l’accesso al cibo per bambini in povertà e aggravare le notevoli diseguaglianze di salute, educative e socioeconomiche che già caratterizzano la situazione dell’infanzia in Italia.

In virtù del loro importante ruolo di contrasto della povertà infantile, Regno Unito, Spagna e lo Stato di New York hanno adottato misure contestuali alla chiusura delle scuole per garantire il diritto al cibo per i bambini più vulnerabili anche durante la sospensione dell’attività didattica.

Esempi di tali misure sono consegne a domicilio dei pasti prodotti dalle mense o vouchers alle famiglie del valore del pasto. L’uso dei pasti scolastici come importante rete di protezione sociale in tempi di crisi non è nuova: durante la crisi economica del 2008/2009, per esempio, molti paesi europei hanno esteso la copertura di questi programmi, includendo spesso anche il periodo estivo.

Al contrario, in Italia ad oggi non c’è una politica chiara su come supplire alla discontinuità delle mense scolastiche dovuta all’emergenza sanitaria.

Il recente fondo di solidarietà ai Comuni per buoni spesa e forniture di generi alimentari non dà linee guida chiare su come spendere e a chi destinare tali risorse, lasciando ai comuni l’implementazione, con il pericolo di aumentare ulteriormente i divari territoriali. Un rapporto di Save the Children nel 2018 ha già evidenziato come in Italia il servizio di refezione scolastica ad oggi raggiunga solo una metà di bambini in povertà e che ci siano ampie diseguaglianze tra Comuni in tema di accesso al servizio, qualità, tariffe, e soprattutto, agevolazioni per bambini a rischio di esclusione sociale.

Tale mancanza è altamente preoccupante perché per molti bambini il pasto a scuola è spesso l’unico pasto caldo e nutriente della giornata. Dati della Coldiretti segnalano infatti che 453.000 bambini al di sotto dei 15 anni hanno dovuto ricorrere ad aiuti alimentari per supplire a necessità nutritive di base nel 2018, mentre l’Istat calcola che 1.2 milioni di bambini in Italia versano in condizioni di povertà assoluta.

Il rischio è che riduzioni anche temporanee dell’accesso al cibo durante l’infanzia possano avere conseguenze di lungo periodo per lo sviluppo fisico, emotivo e cognitivo, come dimostra una vasta evidenza scientifica. Al contrario, numerosi studi mostrano che i pasti scolastici, sostenendo i fabbisogni nutrizionali dei bambini, contribuiscono al loro apprendimento scolastico e al loro benessere psicofisico, tramite riduzioni di ansia, aggressività e migliorando la loro memoria e capacità di concentrazione.

Serve un’azione urgente e coordinata tra governo centrale e Comuni in modo tale da rendere prioritario l’accesso ai fondi per i bambini a rischio povertà. Inoltre, si potrebbero destinare fondi addizionali focalizzati sulle esigenze specifiche dell’infanzia, una fascia già altamente vulnerabile. Questa azione è fondamentale per mitigare l’effetto sociale ed economico dell’emergenza Covid-19 sui bambini ed evitare che tale crisi contribuisca ad ampliare

* Elisabetta Aurino è un’economista presso l’Imperial College di Londra, dove si occupa di povertà, accesso al cibo e sviluppo infantile.