In questi giorni bui in una Bergamo provata ma resiliente, divenuta il cuore dello «stato di eccezione», il dinamico Lorenzo Giusti, direttore della Galleria d’arte moderna e contemporanea di Bergamo dal 2017, ha preso posizione, rendendo il museo uno spazio propulsivo di dibattito e di condivisione, una sorta di «agorà dell’agire» da cui si snodano ripensamenti e proposte. A Giusti abbiamo chiesto di raccontarci le sue iniziative.

«In queste settimane di chiusura ci siamo interrogati molto su cosa possa e debba fare un museo in un momento così difficile per la sua comunità». Sono le sue parole: su quali scelte e obiettivi si è orientato?
La situazione è ancora per fortuna diversa tra Bergamo, la Lombardia e le altre regioni e città d’Italia. Non auguro a nessuna città di passare quello che Bergamo sta vivendo. Il sindaco ha fatto capire che il numero di morti comunicato nelle stime ufficiali è nettamente inferiore a quello reale. Che le persone continuano a morire in casa. Che le famiglie non possono assistere i malati e seppellirli. Quindi sì, dopo la crisi tutti i musei dovranno sicuramente ripensare il modo di relazionarsi con la comunità a cui appartengono, rinegoziare i rapporti con le persone, con gli artisti, con gli operatori, ma per la Gamec sarà ancora più necessario.
Lavoreremo con gli artisti e gli abitanti della città sulla ridefinizione del concetto di vicinanza. Lavoreremo sulla prossemica dei gesti e sulla costruzione di un nuovo linguaggio corporeo. Questo percorso potrà portarci a esplorare il tema dell’intimità. Un rapporto più intimo con l’opera d’arte potrebbe essere la chiave per rieducare le persone a una visione dal vero, che non necessariamente deve essere ricondotta, come è stato negli ultimi anni, a una forma di esperienza collettiva, di gruppo. La Gamec negli ultimi anni ha lavorato per rendere il museo prima di tutto un luogo di incontro e di scambio. Ci sarà molto lavoro da fare per ridefinire i codici di questa vicinanza.

Dan Perjovschi

Come nasce il progetto della piattaforma live streaming «Radio Gamec» di recente attivazione ?
Se c’è una cosa che ridimensiona il passato è l’ansia del futuro che un presente incerto può provocare. E noi vogliamo parlare soprattutto del presente unico che stiamo vivendo e del futuro che dovremo costruire. L’idea della radio nasce da questa esigenza. Ci siamo molto interrogati, con Leonardo Merlini e Lara Facco, che hanno partecipato alla messa a fuoco dell’idea insieme ai servizi educativi e al nostro studio grafico, se evocare o meno il fronte, lo scenario di guerra.
All’inizio c’era molto pudore: possiamo davvero caricare così tanto di significato quello che stiamo vivendo e il lavoro che ci accingiamo a fare? Ma le notizie da Bergamo dei parenti intubati, degli amici deceduti, continuavano ad arrivare con una velocità impressionante. I medici e gli infermieri continuavano a gridare la loro esasperazione, per i numeri troppo alti, per la mancanza di macchinari, per la mancanza di strumenti preventivi. Il papa Giovanni XIII, uno dei migliori ospedali in Europa, chiedeva aiuto. E allora ci siamo detti che l’unica cosa giusta era muoversi a sostegno della comunità, che altri progetti potevano attendere e che lo scenario di guerra poteva essere sdoganato senza troppo pudore. Quando poi ci siamo svegliati una mattina con l’immagine dei camion militari che trasportavano le bare in un’altra città perché al cimitero non c’era più posto, a quel punto anche il minimo dubbio è svanito. Una città assediata ha bisogno di gettare ponti per la fuga di notizie e per la richiesta di aiuto e da lì è nata l’idea di avere, ogni giorno, come abbiamo scritto «una voce dalla città e una storia dal mondo».

In che modo gli artisti possono (se possono) affiliarsi, attraverso il pensiero creativo, all’emergenza in corso? Ci sono dei segnali e delle presenze attive, in questo momento, che vi supportano?
Quando la campagna è partita abbiamo subito chiesto aiuto agli artisti. Tanti hanno realizzato un video, come avevamo chiesto loro, da pubblicare sui nostri social insieme a quelli dei membri dello staff e di chi negli anni ha fatto parte del mondo Gamec per una ragione o per un’altra. Avevamo però bisogno di un’immagine per veicolare il concetto e così ho chiesto a Dan Perjovschi, con cui avevamo collaborato due anni fa, di inviarcene una che potesse essere di conforto per la comunità e di sostegno alla campagna e al lancio della «radio». Lui, con la sua solita generosità e la sua umanità ne ha prodotte cinque magnifiche e ancora oggi continua a mandarci degli spunti. È davvero una persona eccezionale, un artista nell’animo prima ancora che nello status.

È dunque destinato a cambiare l’agire e il ruolo del Museo (dunque dell’arte e della cultura in generale) all’interno di una società ridisegnata dall’esperienza drammatica del virus?
Bisognerà vedere quando e come usciremo da questa esperienza. Se Wuhan e Bergamo resteranno dei casi estremi o se anche altre comunità dovranno fare esperienza non soltanto dell’isolamento, della distanza e della limitazione alle libertà, com’è di fatto per tutti in queste settimane, ma anche del tarlo della malattia, della paura della non fine e del lutto, come sta accadendo a Bergamo.
Comunque ci saranno dei cambiamenti. E quello che mi piace immaginare oggi è un futuro all’inizio debole, dolorante e lento, come un corpo ferito, ma subito lucidissimo e presto scattante e determinato come non mai nel perseguire nuovi modelli di sviluppo sostenibile. Velocissimo nel ripulire i cieli e i mari, nell’abbattere i muri culturali tra i popoli e nel gettare ponti di solidarietà. Con l’arte ad assecondare questo slancio. Un’arte non più cinica, ma pur sempre intelligente. Non più provocatoriamente relazionale, ma coscientemente partecipativa. Un’arte più viva e più umana.