Diciamolo subito, se l’allora presidente dell’UEFA Michel Platini, prima di cadere ahi lui in disgrazia, non avesse disegnato una fase finale dell’Europeo molto più democratica e soprattutto partecipata, forse non avremmo avuto questa presenza massiccia di nazionali britanniche. Ciò detto, che tre delle quattro squadre che fino al 1984 si sono contese l’Home Championship (l’ex torneo Interbritannico) più la Repubblica d’Irlanda siano ai nastri di partenza di Francia 2016 è lo stesso un grandissimo risultato. Se l’Inghilterra può vantare qualche ambizione di successo finale, che poi di solito evapora miseramente come accade dal 1966 fino a oggi, e l’Eire è abbastanza abituata alle grandi competizioni internazionali, tutt’altro discorso per Galles e Irlanda del Nord. Entrambe le squadre nel recentissimo passato hanno occupato le posizioni di rincalzo della classifica FIFA e non a caso sono esordienti assolute all’Europeo. Però possono contare su un comune precedente a dir poco incoraggiante.

Terra di minatori e rugbisti, il Galles ha conosciuto il suo momento di massimo splendore calcistico nel 1958 in Svezia, nell’unico mondiale disputatosi con tutte e quattro le Home Nations britanniche ai nastri di partenza. Con il gigante buono della Juventus John Charles a guidare l’attacco, i dragoni passarono il girone e ai quarti vendettero cara la pelle contro il Brasile poi campione, vittorioso grazie al goal di un diciottenne destinato a ritagliarsi un discreto spazio nella storia di questo sport. Ovviamente ci riferiamo a Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé. Anche l’Irlanda del Nord, che nelle qualificazioni aveva buttato fuori l’Italia, si piazzò in maniera sorprendente tra le prime otto. La rappresentativa delle sei contee dell’Ulster ebbe un altro momento di gloria negli anni Ottanta, in cui figurò in due mondiali consecutivi (1982 e 1986).

La rassegna iridata del 1982 per poco non la giocò anche il figlio prediletto della Wee Nation, sua maestà George Best, ormai agli sgoccioli della sua sublime e travagliata carriera. Nonostante i Troubles fossero ancora al loro apogeo, a quell’epoca la selezione nord-irlandese poteva giovarsi del sostegno di pressoché tutta la popolazione locale, senza troppe distinzioni tra le due fazioni in conflitto. Ora i cattolici dedicano la loro attenzione a quelli che giocano le loro partite casalinghe a Dublino, forse anche perché dagli anni Novanta la crescita calcistica della nazionale dell’Eire è stata esponenziale.

Non aiuta certo a scardinare la patina di settarismo che ancora ricopre quella turbolenta parte di mondo il fatto che l’inno nord-irlandese sia ancora God Save the Queen, che certo dalle parti di Falls Road a Belfast non amano particolarmente, mentre i vicini protestanti di Shankill Road considerano come un elemento imprescindibile della loro britannicità e non vogliono assolutamente che venga «smantellato». A inizio 2016 si era parlato della possibilità per ognuna della quattro Home Nations di avere un proprio inno in occasione delle manifestazioni sportive. Gli inglesi vorrebbero usare la tanto amata Jerusalem, gli scozzesi e i gallesi in realtà già hanno dei temi musicali molto «identitari» (Flowers of Scotland e Land of my Fathers), per l’Irlanda del Nord rischierebbe di aprirsi una diatriba infinita e non sembra ci siano all’orizzonte delle ipotesi di cambiamento.

Tornando agli aspetti più prettamente sportivi, in Francia uno dei match più attesi è senza dubbio il derby tra Inghilterra e Galles, mentre i ragazzi in verde dovranno fare un miracolo per passare il girone (si troveranno di fronte Polonia, Ucraina e soprattutto Germania). Se i Dragoni possono contare su due stelle di portata mondiale, mister 100 milioni Gareth Bale (Real Madrid) e Aaron Ramsey (Arsenal), l’Irlanda del Nord ha la sua forza nel tanto decantato «gruppo». Basterà?