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Galileiani, scienza vs. letteratura? Rottura di un paradigma

Galileiani, scienza vs. letteratura? Rottura di un paradigma«Vita di Galileo» di Bertolt Brecht, con Tino Buazzelli, messa in scena da Giorgio Strehler nell’aprile 1963, Milano, Piccolo Teatro

Intellettuali, riviste, autori Galileo fu il primo in epoca moderna a fondere le due culture «antagoniste»: Massimo Bucciantini ne rintraccia l’eredità in Vittorini, Primo Levi e Calvino

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 10 dicembre 2023

Se è vero che la scienza incarna un principio centripeto vòlto a ricondurre l’ignoto a solide e consolidate leggi universali, e se viceversa è vero che la letteratura è mossa solo da un principio centrifugo atto a spingere quanto è famigliare negli impreveduti territori dell’ignoto, perché allora dovremmo essere tutti galileiani?
Siamo tutti galileiani –risponde lo storico della scienza Massimo Bucciantini, autore della recente «Vela» Einaudi (pp. 120, € 12,00) – perché «tutto comincia con Galileo. La sua fu una rivoluzione senza precedenti, con molti nemici: ieri come oggi. Un nuovo modo di vedere e di stare al mondo che ha ancora molto da insegnarci». Il pensiero di Galileo, non occorre ricordarlo, è alla base del metodo scientifico moderno. Al matematico pisano si devono lo studio della superficie lunare, dei satelliti di Giove, della supernova del 1604 e soprattutto la convalida della teoria copernicana dell’eliocentrismo che rivoluzionò, per sempre, la storia del genere umano. Per il filosofo Eugenio Garin, la nuova scienza cercò «di svincolarsi da una visione magica della realtà estremamente complessa», e a tal fine Galileo adoperò tutti i mezzi a sua disposizione, compreso quanto di buono poteva provenirgli dalla letteratura: se la scienza fornì il che cosa dire, la letteratura gli rivelò il modo. Come spiegare, in modo persuasivo, che il mondo non era più come pervicacemente si credeva?

A infrangersi con Galileo è proprio quel paradigma epistemologico, oggi ancora operante: esistono epoche della storia umana molto creative, in cui scienza e letteratura non sono poi così distanti, l’una sconfina nell’altra, esse si ibridano e si modificano a vicenda. La scienza fa propri gli strumenti della letteratura, la letteratura si dà uno statuto che segue più da vicino principii scientifici. Galileo fu, nell’epoca moderna, il primo a fondere le due culture e a rivendicare per la scienza l’importanza del modo in cui raccontare, al riparo da una prosa barocca, sfruttando invece il rigore e il minimalismo di una prosa precisa e retoricamente orientata.

Nel corso del Novecento, lo scienziato fu un punto di riferimento per una cerchia di scrittori, gravitanti intorno alla casa editrice Einaudi. (E qui Bucciantini mette a frutto la sua esperienza nell’insegnamento della letteratura italiana contemporanea: suoi sono i volumi Pensare l’universo. Italo Calvino e la scienza (2007) e il recentissimo In un altro mondo. Galileo Galilei, Vincent van Gogh, Primo Levi). Vittorini, all’indomani del secondo conflitto mondiale, denunciò il cambiamento della società italiana e la contestuale necessità da parte degli intellettuali di non guardare più alla realtà industriale con uno sguardo naturalistico, di norma ostile alla scienza e alle scoperte tecnologiche più avanzante. Gli anni del «Menabò» (1959-1967) coincisero con la fase calante del boom economico da cui era stato travolto il Paese. E qui Vittorini tentò di denunciare il passatismo della cultura umanistica, insistendo sul ruolo dell’industria e della scienza come metodologia di ricerca aperta, problematica e incessantemente critica. La cultura scientifica avrebbe dovuto assumere su di sé il compito umanistico.

Erede in un certo modo del lascito vittoriniano, Italo Calvino si trovò a dover difendere il suo invito alla scienza e alla tecnica, che non aveva uno scopo apologetico. Vittorini era sinceramente persuaso dell’esigenza di espandere gli orizzonti della letteratura verso un mondo dal quale non era più possibile prescindere.
Insieme con Primo Levi, Calvino fu il più «galileiano» dei nostri scrittori. Pur convinto del necessario rinnovamento culturale che occorreva alla letteratura nostrana, non fu però un cieco ottimista. Costruì le proprie storie con un piglio volutamente non antropocentrico, diede ampio spazio alla prospettiva degli animali, disseminati un po’ dappertutto nei suoi testi, ideò una raccolta di racconti, Le cosmicomiche, narrati dalla prospettiva di un leggendario essere preistorico, Qfwfq, in cui le scoperte scientifiche vengono sottoposte alle leggi della fantasia letteraria, e allestì il suo mondo narrativo come fosse governato dall’ordine e dalla simmetria del metodo scientifico. Eppure, fu sempre consapevole del lato regressivo della tecnica: pensiamo, ad esempio, a La nuvola di smog, racconto nel quale la campagna ideata contro lo smog è finanziata con i soldi dello stesso industriale responsabile dell’inquinamento. O a Palomar, il suo ultimo romanzo, nel quale il protagonista ha la pretesa di muoversi in un cosmo simmetrico e armonico che, al contrario, dietro la lente del suo cannocchiale galileiano, appare caotico e imprevedibile.

Anche Primo Levi, in più di un’intervista, illumina la convergenza tra letteratura e scienza promossa da Galileo. Al mestiere di chimico egli dedicò la sua opera più bella, Il sistema periodico, in cui i titoli dei racconti presentano il nome di alcuni elementi della tavola periodica degli elementi di Mendeleev. Per Levi, Galileo fu un modello, perché scienza e letteratura non appartengono a «due sottospecie diverse, reciprocamente alloglotte, destinate a ignorarsi e non interfeconde».

In una pagina di I sommersi e i salvati, Levi si congedò lasciandoci un insegnamento valido ancora oggi: intellettuale – scrive Bucciantini parafrasando Levi – è «qualunque “persona colta al di là del suo mestiere quotidiano” che possieda però due attitudini: quella di “rinnovarsi, accrescersi ed aggiornarsi” e quella di non provare “indifferenza o fastidio davanti ad alcun ramo del sapere”. Non due alberi, insomma, ma due rami dello stesso albero, che si intrecciano e possono dar luogo a originali punti di vista sul mondo e sull’uomo».

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