Per la «first lady» dello sci-fi americano, Gale Ann Hurd, un buon film di fantascienza e una buona serie televisiva funzionano solo se, a monte, c’è una grande «storia» da raccontare. A Hollywood – ha spiegato nel corso di un incontro al Roma Fiction Fest: «Ora hanno paura di rischiare. Il fatto è quando abbiamo fatto The Abyss ci è costato 49 milioni di dollari, Terminator 5,6 e Aliens 13. Oggi i block buster costano cifre impressionanti, dai 300 milioni in su e quindi non puoi correre il rischio di perdere troppi soldi con idee innovative. Quindi gli studios fanno scelte sicure, e reagiscono così a quello che il pubblico sembra chiedere. È difficile trovare oggi qualcosa di innovativo nelle grosse produzioni, ci sono stati Inception con Christopher Nolan e Avatar di James Cameron. Ma sono eccezioni».

Gale Ann Hubbard è una produttrice di successo, ha iniziato a muovere i primi passi con Roger Corman: «Lui credeva molto nelle donne. Era il 1978 quando ho cominciato a lavorare con Corman, mi ha dato molta fiducia e insegnato tutto quello che mi ha consentito di camminare poi con le mie gambe».

A metà anni ’80, insieme all’allora marito James Cameron, ha prodotto prima Terminator («molti credono che sia stata io a volere Swarzy, ma in realtà pensavo a un altro attore per interpretare questa sorta di squalo che cerca il suo prossimo pasto..».) e poi Aliens, The Abyss, Terminator 2 lavorando anche alla produzione di Armageddon.

Ma la showrunner nata a Los Angeles negli ultimi anni ha legato il suo nome a una delle produzioni televisive più importanti, The Walking Dead, il fenomeno crossmediale la cui quinta stagione parte il 13 ottobre negli Stati uniti e arriva lo stesso giorno in Italia in contemporanea su Sky. Creata da Frank Darabont e basata sui fumetti dell’omonima striscia di Robert Kirman, Tony Moore, Charlie Adlard è un fenomeno di culto su scala planetaria, e i 22 minuti di documentario presentati al Rff The Walking Dead, most deadicated fans, lo testimoniano. Un giro intorno al mondo, dal Giappone alla Spagna con un unico comune denominatore; la passione di centinaia di migliaia di fan.

Perché gli zombie affascinano tanto le persone? «Ha sorpreso anche noi questa reazione, all’inizio pensavamo – discutendone con Frank Darabont – di realizzare una serie sul fumetto. Credo che gli zombie attraggono tanto perché in qualche modo rappresentano la nostra paura della morte. Quasi un fatto simbolico, individui senza cervello che arrivano a uccidere anche i propri congiunti».

La nuova serialità si caratterizza su produzioni lunghe, che impediscono allo spettatore di perdersi un episodio. Un miracolo in tempi in cui tutto deve consumarsi in maniera veloce…: «Perché oggi gli sceneggiatori si concentrano molto più sui personaggi e vista la lunghezza di ogni fiction, si possono analizzare fino in fondo le loro vite. Prima si seguiva un plot e lo si portava a termine. E poi oggi abbiamo molti altri modi per fruire di una serie. Prima se perdevi un episodio non potevi recuperarlo, ora con il web con lo streaming e le pay tv è diventato tutto più accessibile…».

The walking dead al momento del suo lancio, è sembrato a molti un azzardo. Una serie con scene horror molte crude in prima serata…: «Non ho mai avuto paura di correre dei rischi, perché se non provi spazi nuovi, non farai mai progressi».