La condanna (due anni e 10 mesi, con il sequestro di 2,6 milioni di euro) è passata in giudicato. Giancarlo Galan, 58 anni, ex governatore del veneto e ministro, attuale presidente della Commissione Cultura a Montecitorio, deve restare agli arresti domiciliari nella villa di Cinto sui Colli Euganei.

Così ieri la Cassazione che ha respinto perché inammissibile il ricorso con cui Galan contava di poter cancellare il patteggiamento firmato con i pm veneziani Ancilotto, Buccini e Tonini, e il benestare del giudice Giuliana Galasso. Giovedì l’udienza e ieri la decisione dela Cassazione che ha gelato gli avvocati Franchini e Ghedini.

L’ex doge berlusconiano, a questo punto, è inchiodato dallo «scandalo Mose». E non ha più alternative con la carta da bollo. Il provvedimento cautelare nei confronti di Galan scade il 15 luglio, ma è prevedibile che la misura dei domiciliari si allungherà finché scatterà l’affidamento ai servizi sociali. Di certo, il deputato forzista non potrà rientrare a Montecitorio. Anzi, pur non essendo mai stato sospeso dal ruolo di presidente di commissione, ora per Galan si profila la «tagliola» della legge Severino che ne comporta la decadenza da parlamentare, come già per Berlusconi.

Dopo la Cassazione, invece, la palla giudiziaria passa al Tribunale di sorveglianza: dopo l’estate Galan dovrà scontare meno di 18 mesi e quindi potrà accedere all’affidamento in prova. Di nuovo, come Berlusconi con cui aveva fondato Forza Italia insieme agli altri fedelissimi di Publitalia.

La parabola di Galan, insomma, è compiuta. Il 4 giugno dell’anno scorso, con il maxi-blitz della Procura veneziana per lo scandalo Mose, il suo nome era comparso fra gli indagati. Il 22 luglio la Camera aveva concesso l’autorizzazione all’arresto, mentre era ricoverato all’ospedale di Este. Trasferito nell’infermeria del carcere di Opera, aveva accettato il patteggiamento grazie al quale aveva fatto ritorno nella villa con la moglie Sandra e la figlia Margherita.