La sua danza è fluidità pura, un’onda magnetica in cui il corpo riscopre il ritmo interiore del movimento, l’energia che ci appartiene e che rende consapevoli nella danza della connessione tra lo sforzo e il piacere. Ohad Naharin, classe 1952, israeliano, dirige dal 1990 la più importante compagnia del paese, la Batsheva Dance Company, fondata nel 1964 dalla Baronessa Betsabea de Rothschild che ne affidò allora la guida alla madre della modern dance Martha Graham.
Una vena creativa dirompente nel legare il lavoro nella danza a una visione globale dell’uomo vede Naharin esordire come ballerino della stessa Batsheva nel 1973, trasferirsi nel 1975 a New York su invito di Martha Graham, danzare per Maurice Béjart, e poi fondare una sua compagnia in America con la moglie Mari Kajiwara, strepitosa ballerina di Alvin Ailey scomparsa prematuramente nel 2001.

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foto di Gadi Dagon

Da quando dirige la Batsheva, Naharin ha firmato una trentina abbondante di lavori, di cui molti sono in repertorio di grandi compagnie internazionali dall’Opéra di Parigi al Nederlands Dans Theater. Sarà lui a inaugurare tra il 5 e il 6 settembre l’edizione 2016 del festival Torinodanza con un doppio appuntamento: il 5, al Cinema Massimo di Torino, in collaborazione con Nod – Nuova Officina della Danza e Dams, è in proiezione il biografico film documentario Mr. Gaga di Tomer Heymann (nelle sale dal 15 settembre distribuito dalla Wanted Cinema), preceduto da un incontro con lo stesso coreografo e il regista. Il 6 al teatro Regio andrà in scena con la Batsheva uno spettacolo ormai storico di Naharin, Tre, del 2005, coinvolgente trittico su musica da Bach a Brian Eno in cui il lavoro sulle dinamiche del movimento, sulle forme, sul rapporto con lo spazio e il tempo si intreccia a una perlustrazione personale di sentimenti e stati emotivi. Completa il focus lo workshop Intensive Gaga Torino.

Il film di Heymann, presentato al Bfi London Film Festival 2015 e in Italia al Festival dei Popoli, racconta con coinvolgente efficacia il percorso creativo e di vita di Ohad Naharin, anche grazie a preziosi materiali d’archivio recuperati pazientemente dal regista durante gli svariati anni in cui ha seguito il lavoro del coreografo israeliano. Il titolo Mr. Gaga lega il film al nome, Gaga appunto, dato dal coreografo al suo particolarissimo linguaggio di movimento, una tecnica messa a punto per danzatori professionisti, amatori, ma anche persone comuni, senza training specifico. Un linguaggio ormai molto noto nel mondo della danza, praticato anche da attori, come Natalie Portman che fece classi di Gaga per prepararsi alla sua parte nel film Il cigno nero.

Spiega Naharin: «Gaga mette in gioco compiti molto complessi. Siamo coscienti della connessione tra sforzo e piacere, siamo consapevoli della distanza tra le nostre parti del corpo, della frizione tra la carne e le ossa. Scopriamo l’animale che c’è in noi e il potere della nostra immaginazione; siamo body builders with a soft spine. Impariamo a comprendere cosa significa attenuazione e esagerazione, diventiamo più delicati e riconosciamo l’importanza del flusso di energia e di informazione attraverso i nostri corpi e in tutte le direzioni. Diventiamo consapevoli delle persone che sono con noi nello spazio e capiamo che non siamo al centro di tutto. Ci mettiamo in relazione a possibilità infinite». Nel film di Heymann, Naharin, commentando il suo debutto nella coreografia a New York su immagini inedite degli anni Ottanta, dichiara: «La ragione per cui ho iniziato a coreografare era perché potessi danzare sentendo qualcosa in cui credevo veramente». Il linguaggio Gaga è nei decenni successivi la risposta. Nasce da un incidente alla gamba subito dal coreografo e dall’esigenza correlata di conoscere il proprio corpo.

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foto di Gadi Dagon

«Una grande esperienza», racconta Naharin, una ricerca per trovare parole e movimenti che portasse i danzatori davvero dentro la creazione. In Mr. Gaga illuminanti sono, oltre al montaggio mai didascalico tra le creazioni più recenti e i materiali d’archivio, i filmati di prova con i danzatori. In essi emerge la determinazione di un lavoro che va alle radici del movimento: «quando penso alla danza, penso sempre a un’eco: muovi la tua mano ed essa fa muovere il resto del corpo. Riguarda anche la texture, quali muscoli usi e quali lasci andare, riguarda la sensibilità della tua pelle, l’uso della gravità, non perché tu permetta alle legge di gravità di darti la forma, ma per usare questa forza fondamentale così che la danza accada».

Il film merita anche perché non tralascia di affrontare il rapporto tra arte, politica, religione, società. Come quando nel 1998, Naharin, dopo essere stato invitato a inaugurare con la Batsheva i festeggiamenti per il 50° anniversario di Israele, si rifiutò di cambiare i costumi dei danzatori di Anaphase (canottiere e shorts) come richiesto dal governo su motivazioni religiose, pronto a dimettersi dalla direzione della Batsheva Dance Company. I danzatori per solidarietà non ballarono alla celebrazione.
E le riflessioni proseguono anche oggi. «Quando mi chiedono perché ho intitolato la mia ultima creazione Last Work» spiega Naharin alla fine del film, «una delle risposte che do è che forse è la mia ultima danza. Viviamo in un paese infestato dal razzismo, dal bullismo, dall’ignoranza, dagli abusi di potere, da fanatici. Riflette come la nostra gente sceglie il nostro governo, un governo che mette in pericolo non solo il mio lavoro come creatore, ma l’esistenza di noi tutti qui, in questo paese che amo così tanto. Chissà fino a quando potremo resistere?». E così anche in Tre, lo spettacolo della Batsheva in scena al Regio, il segno di Mr. Gaga, avvolgente, dinamico, sensuale, nei corpi dei danzatori si trasforma oggi più che mai in un energico, vitale canto collettivo. «Una lancinante bellezza estetica» commenta il direttore di Torinodanza, Gigi Cristoforetti «una risposta d’artista alle contraddizioni di un pezzo di mondo straziato da dolori politici, umani, sociali. E per certi versi vicino a noi, più di quanto pensiamo».