Il nome di Gaetano Bresci è ben conosciuto nella storia sociale italiana. È l’emigrante anarchico che, venuto da Paterson a Monza, la sera del 29 luglio 1900 giustiziò il re d’Italia Umberto I, definito “Re mitraglia”. Dall’indomani del regicidio – come provano i numerosi arresti di cittadini accusati di apologia di reato, di complicità, di aver inneggiato o di aver banchettato per festeggiare l’evento – la sua memoria è stata sempre circondata dall’ammirazione e dalla gratitudine di molti italiani, che compresero che quelle tre pallottole il re se le era più che meritate per la sua politica repressiva e antipopolare e rappresentano la sua inevitabile condanna. Bresci dopo un mese subì un processo farsa e frettoloso, durato una giornata: condannato all’ergastolo, fu trasferito in gran segreto nel terribile penitenziario di Santo Stefano.

Il 22 maggio 1901 – stando alla versione ufficiale – fu trovato morto, anche se era in assoluto il detenuto più controllato d’Italia. Le versioni ufficiali sono contraddittorie e non si capisce come abbia potuto impiccarsi con un fazzoletto. Fatto sta che al direttore del carcere, Andrea Doria, lo stipendio annuale sarà più che raddoppiato, passando da 4500 a 9500 lire e l’ergastolano Sanna, due giorni dopo aver strangolato il regicida, fu trasferito a Procida e liberato con la concessione della grazia sovrana. Secondo un’altra testimonianza Bresci fu addirittura ucciso giorni prima, il 7 maggio, e per questo – come scrisse un giornalista che assistette alla sua sepoltura – il cadavere puzzava.

Negli Stati Uniti, dove Bresci (originario di Prato) faceva il tessitore e guadagnava anche bene, aveva lasciato la sua compagna, l’irlandese Sophie Knieland, che era in attesa di partorire, e la figlia Maddalena, nata l’8 gennaio 1899. Era partito dal porto di New York il 17 maggio 1900 e il suo nome è regolarmente registrato nella lista dei passeggeri imbarcatisi sul «Guascogne», che lo sbarcherà a Le Havre. Raggiunta Prato si allenò e la sera del 29 luglio, al buio, colpì unicamente il re, senza provocare nemmeno un graffio a nessuna tra le migliaia di persone che assistevano alla premiazione fatta da Umberto I. Anche per questo Bresci compie un atto individuale e non un gesto terroristico. La figlia di Bresci nasce nel settembre del 1900, non sappiamo la data precisa, ma quando il 12 ottobre 1900 la madre viene interrogata per rogatoria nel Palazzo di Città di West Hoboken, al giudice Giacomo Linde dichiara di averla partorita tre settimane prima.

Le comunità anarchiche di New York e di Paterson, oltre a interessarsi delle figlie, affidandone l’insegnamento a Beniamino Mazzotta, si associarono anche all’iniziativa di aprire una sottoscrizione a favore della moglie e delle due figlie, lanciata dagli anarchici di West Hoboken, e numerose schede di sottoscrizione arrivano dagli anarchici italo-americani, che vengono man mano registrate su La Questione Sociale e L’Aurora, i due settimanali anarchici di Paterson. Sarà la prima testata a lanciare il 22 settembre un appello alla solidarietà dei compagni scrivendo: «È giunto il momento in cui noi tutti dobbiamo seriamente occuparci delle due piccole figlie del giustiziere Gaetano Bresci. Esse sono ancora in tenera età, una ha appena raggiunto venti mesi, l’altra otto giorni: l’amato loro padre disgraziatamente è sparito (per ora solo speriamolo) dalla scena del mondo, le piccine rimangono private del genitore affettuoso e consolatore, esse rimangono senza quel sostegno necessario per l’esistenza, esse rimangono, se i compagni non se ne occupano, senza quella difesa tanto necessaria contro alla società corrotta». Da questo appello possiamo stabilire che Gaetanina nacque il 14 settembre 1900. I lavoratori mandano spontaneamente quello che possono e le sottoscrizioni si raccolgono alle feste di ballo, ai picnic, ai meeting, alle commemorazioni.

L’Aurora del 17 novembre 1900, annunziando che è stato deciso di promuovere un grande meeting internazionale di protesta, per un diniego opposto dalle autorità americane, rivendica che le due bambine «sono figlie nostre» scrivendo: «La vigliacca borghesia italiana, spalleggiata dalla governaglia americana, crede di vendicarsi così. Non contenti di aver sepolto il padre vivo, hanno voluto colpire le due care bambine, privandole del beneficio della serata, qualche centinaio di scudi. Ma sappiano queste canaglie della borghesia che le figlie di Bresci sono figlie nostre, e noi tutti le abbiamo adottate. Perdettero un padre è vero, ma ve ne sono migliaia che di esse si prenderanno cura». Da Napoli un anonimo manda un dollaro. I rendiconti vengono pubblicati settimanalmente con nome e cognome, oltre la località di provenienza dei sottoscrittori e provano la grande solidarietà politica e umana degli anarchici. L’ultima notizia sulla raccolta di fondi risale al 1913. Cesare Fornara, con un comunicato pubblicato da La Cronaca Sovversiva di Lynn Mass del 2 agosto 1913, riferisce di aver depositato alla Illinois Trust And Savings Bank di Chicago, a nome di Madaline Bresci, il 22 luglio 1913, ricorrenza del suo onomastico, la somma di 281,23 dollari (dei 543,43 raccolti) comprensiva degli interessi di dollari 3,33, stabilendo che poteva ritirare otto dollari a settimana, così come avevano suggerito i compagni.

Emma Goldman scriverà che Bresci era un buon marito e un padre affezionato alla figlia e tutte le altre testimonianze riportate anche dalla stampa italiana concordano, facendo presente che era buono e gentile con la moglie, la quale ricorda che la sera prima della partenza arrivò a casa con tutti i giocattoli possibili ed immaginabili per la figlioletta.

Lo scrittore e giornalista anarchico Armando Borghi, dopo la caduta del fascismo, incontra a Bologna la sorella di Bresci. Gli parlò a lungo del fratello: quando passò a salutarla a Castel S. Pietro e per questo arrestarono il marito, parlando della figlia, le disse che era stato costretto a scappare di nascosto da casa perché la bimba non voleva lasciarlo partire, si attaccava a lui con le braccine, piangendo: «Babbo, babbo, non andar via!» e di non aver saputo più nulla di loro.

Purtroppo non risultano contatti tra le due famiglie. Prima il terrore monarchico, poi la lontananza, l’Atlantico e la differenza delle lingue le divise per sempre. Esiste però una foto, molto bella, senza data: ritrae una figlia di Bresci, forse Maddalena, con l’anarchico abruzzese Umberto Postiglione, che in articoli e in conferenze si era occupato di Bresci. La foto deve risalire a prima del 1917, quando Postiglione fu espulso dagli Stati Uniti e dunque la ragazza aveva 17 o 18 anni.

Lo storico Paul Avrich, nel 1991, ha scritto che, dopo l’attentato, la moglie con le due figlie era stata mandata via da West Hoboken dalla polizia e aveva gestito un ristorante a Cliffsid Park, N.J., presso il quale gli anarchici terranno un pic-nic.

Nel numero unico Bresci, pubblicato a Forlì nel 1946, è detto che la moglie e le figlie vivevano, sotto altro nome, a San Francisco. Nel 1956 è ancora Armando Borghi a testimoniare che, andandosene a San Francisco, la madre dovette quasi nascondere le bambine, perchè i consoli italiani in America non avrebbero tollerato il nome di Bresci, vivente sia pure nelle due figlie ignare di tutto: la madre cambiò il loro cognome e Borghi ritiene che una delle due sia ancora viva. Parecchi anni dopo l’anarchica Maria Luisa Pellegrini, da Fos sur mer (Francia), il 25 luglio 1971 mi scriveva che le figlie di Bresci – che risiedevano negli Stati Uniti d’America – le avevano chiesto notizie e materiale sul padre.

A Gaetanina, nata quando il padre è in carcere in Italia, proprio a Prato è dedicato il dramma teatrale Gaetanina Bresci. Mio padre Gaetano, il regicida, in programma questa sera alle ore 21 al Teatro La Baracca, scritto e interpretato da Maila Ermini, con la collaborazione di Gianfelice D’Accolti. Nel dramma si immagina che Gaetanina, negli anni ’70, decide di compiere un viaggio in Italia per scoprire e conoscere la figura del padre. Sono anni particolari e il governo italiano, preoccupato per il viaggio di una donna dal cognome così simbolico e non dimenticato, intende impedirglielo, perché teme che disturbi l’equilibrio politico del paese. Pur partendo dalla storia è un dramma immaginario nel quale politica e affetti familiari si intrecciano; «è la storia – spiega Maila Ermini – di un viaggio negato anche nel passato, di quello che non si vuol più far conoscere perché considerato tabù o pericoloso. Gaetanina vuol venire in Italia per ricostruire la figura di un padre, vissuto soltanto come racconto, ma la legittima ricerca delle proprie radici si scontra con l’impenetrabile ragion di stato».