«Vorrei, e sarebbe il mio debito, essere frenòlogo e psichiatra da poter indagare e conoscere con più partita perizia la follia tetra d’un gaglioffo ipocalcico dalle gambe a roncola, autoeròtomane, eredooalcolico ed eredoluetico: e luetico in proprio [così anche nel Pasticciaccio]. Da descrivere e pingere in aula magna [una lezione di anatomia] que’ due mascelloni del teratocèfalo e rachitide babbeo, e l’esoftalmo dello spiritato basedowico, le sue finte furie di scacarcione sifoloso»: non solo lui, ma, come subito detto, «li associati a delinquere cui per più d’un ventennio è venuto fatto di poter taglieggiare a lor posta e coprir d’onte e stuprare la Italia». Ora, basterebbero le parole che nuovamente si leggono nell’incipit, «delinquere» e «stuprare», a dire che ci sono libri che al solo maneggiarli si rischia di scottarsi da tutte le parti. Eros e Priapo è uno di questi libri, come fosse anch’esso – è stato detto – una sorta di bagattella per un massacro. Tormentato nella stesura e complicato nella vicenda editoriale, che ebbe esito in una versione sforbiciata e di compromesso, solo adesso, per imponente cura filologica (di filologia appassionata e civile) viene restituito alla volontà dell’autore: non si dice l’ultima volontà, una volta tanto, perché Gadda, tra esitazioni cerimonie auto-inibizioni censure e ritrosie un libro lo licenziò, nel 1967, e a quel punto era pur suo, benché piuttosto snervato (molto snervato era l’editore Garzanti, che di mano glielo strappò, prima ch’ei s’inducesse a ripentirsi, quasi). Era una introflessa diceria, un’invettiva barocca, un borborigmo letterario pronunciato come da disteso su un lettino di cura, rimuginato negli anni, spaurito quasi nel suo stesso dirsi, tant’è che Gadda stesso, dandone in lettura qualche capitolo si era sempre cautelato di sapere in quale mani andasse a finire (soprattutto non femminili, per reiterata misoginia).
Uno scavo ammirevole
Ora abbiamo quella che fu l’indiavolata origine del libello solforoso stampato nel 1967. Appare senza tagli ed è Eros e Priapo Versione originale, a cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti (Adelphi «Biblioteca», pp. 451, € 24,00), che in una nota di raro scavo e di ammirevole acribia ne narrano la vicenda tortuosa, piena di ritorni e sovrapposizioni. Potrebbe definirsi, oltre che il libro che è, nell’insieme dei materiali raccolti, come un grande faldone, fortemente sintomatico e iperreattivo. Non bastasse il testo, a piè pagina corrono per la prima volta le note, dove si riscontra il Gadda più tipico, con la sua umoralità tirata a freddo, col rancore che poggia sull’erudizione, quasi a voler mettere una illusoria, fittizia distanza tra i fatti e le parole che li portano. Ma poi l’arringa è di una veemenza trascinata dentro il fuoco della controversia, fino a mostrarsi, nell’incandescenza, al calor bianco.
Nel suo infinito inveire e turpiloquire, la versione originale restituisce il testo alla propria chiarezza: un furioso spurgo di quanto si è patito, eppure eletto a sistema, con l’ansia addirittura della sistematicità, ovvero l’accanito tentativo di raggiungere il cuore di un disordine: un magma che è il frutto più cospicuo della riedizione delle opere gaddiane presso Adelphi, perché offre agli occhi del lettore un libro radicalmente nuovo, mai visto finora. In più, nelle appendici vengono fornite le varie fasi del lavoro e gli estratti, secondo le nominazioni che assunsero nel corso degli anni (Il bugiardone, Il libro delle furie, I miti del somaro), in forme varie, continuamente ritornanti su se stesse, smembrate e ricomposte fino alla redazione ottenuta per espansione e si direbbe per esplosione del materiale: il testo è una deflagrazione psichica che corre insieme all’autoanalisi e all’analisi dell’«io collettivo» – così lo chiama Gadda – di un intero popolo.
Antimussolinismo
Notoriamente attratto dal fascismo come buona parte dei reduci dell’inutile strage, Gadda è forse altrettanto precocemente antimussoliniano, o almeno così arriverà a credere per sé e a far credere ai suoi lettori, se l’antimussolinismo è ben presente nel Pasticciaccio, la cui azione è datata 1927, anno importante, per richiamo mentale se non effettivo, di parecchi snodi biografici (la data non è quella della più tarda stesura, coeva a Eros, ma in ciò stesso è l’interferenza). Dunque il libello è su Mussolini, ovvero su tutto ciò che Gadda non era. Hanno ragione i curatori nell’osservare che se l’intento di Gadda fosse stato solo un libello antimussolinano «il titolo più adatto sarebbe stato Eros e Logos, che avrebbe polarizzato la dicotomia su cui poggiava la sua personale ricostruzione del ventennio fascista», mentre in Eros e Priapo «il priapismo del Kuce è messo in alternativa a un eros liberato». Dunque il libro è sì un atto d’accusa «contro le nefandezze del regime e la sottomissione di un intero popolo al delirio narcissico del tiranno», ma è insieme «un micidiale strumento di autocoscienza collettiva, di messa a nudo del delicato rapporto tra le pulsioni di Eros, la loro degenerazione priapica e la loro sublimazione».
Ma resta che, della fragile virilità di Gadda, Mussolini è l’opposto. Il livore non nascerà da questo, ma l’improperio ininterrotto, se ha una origine storica, ha anche una motivazione psichica: il boato di una rabbia innescata dal constatare negata o sopraffatta o profittata ogni fragilità. Tra psiche e storia si tratta, ancora una volta, della questione delle «concause» subito chiamate in scena dalla mente di Ingravallo all’inizio del Pasticciaccio, la cui stesura, s’è accennato, si incrocia con quella di Eros e Priapo: l’inizio immutato del capitolo secondo di Eros e Priapo subito rimugina su «la causale del delitto» che pari pari pronuncia l’ispettore nel giallo di via Merulana; così come nel capitolo secondo di adesso resta traccia dell’annuncio sul Messaggero tramite il quale Ingravallo trova pensione: «AAAAA statale distintissimo bella assolata affittasi, fine pensione via del Babuino 117B piano ultimo. Escluse donne», mentre nel ’67 il medesimo annuncio locava la fine pensione in «Via del Gelsomino 119B».
Rima feroce e beffarda
E sempre in andirivieni col Pasticciaccio: Cola di Rienzo era stato appena un nome tra altri nel Castello di Udine; ora in questa versione è un corpo che appare in un passaggio allusivo alla sua fine: e con feroce e beffarda rima fotografa piazzale Loreto come pronosticandolo, da dopo: «E se Dio voglia, finisce appeso come Cola, con rivoltate coglia (coi ball per aria, dialetti lombardi)»; ma questo passo, come l’altro nel Pasticciaccio – «Cola appeso. (Grascio era)» – apre a un esplicito richiamo stilistico, particolarmente rilevante per Eros e Priapo. Se infatti il linguaggio, febbrile come una bestemmia colorita, in vernacolo, poggia su una vivida tradizione toscana – soprattutto quella di vena popolare (magari come mimata nel Machiavelli epistolografo) –, con rinforzo di idiotismi lombardi a iosa, come si fosse nell’anticamera del commissariato-babele del Pasticciaccio, l’allusione a Cola di Rienzo porrà quale evidente modello il capolavoro che è la Cronica dell’Anonimo romano, celebrato tale da Contini nel 1940 in un saggio-antologia (a lungo inaccessibile, una parte era stata edita nel 1928 da Alberto M. Ghisalberti): Gadda ebbe sicuramente tra le mani l’estratto della sola Vita di Cola nell’edizione popolare di Fabio Cusin del 1943, presente nella sua biblioteca.
Per dire che il dislocamento del discorso, corrente tra anima e storia, è anche un luogo di inesausto combinare letteratura con altra letteratura; e la combinazione iperletteraria si accavalla con il gergo freudiano, del quale Gadda si andava approvvigionando, affinando la strumentazione: un buon laboratorio nello stretto giro dei primi anni quaranta è l’acuminata recensione ad Agostino di Moravia. Sicché il volume nel suo insieme, a tenere conto di tutti i materiali che vi sono organizzati e degli apparati che li accompagnano, si crede sarà d’ora in poi un nucleo di profonda riflessione e di molti ripensamenti tesi ad aggiustare la prospettiva dell’opera di Gadda in quello scorcio di tempo non solo. Non si può dire se il paesaggio cambierà di segno come accadde alla pubblicazione della Meditazione milanese (Gadda filosofico) subito dopo la scomparsa di quel grande, ma lo svolgimento a quell’altezza si deve porre. Più di una via si apre e taluni sentieri sembrano adesso meno interrotti. Oltre che in sé, questa versione di Eros e Priapo (Gadda psichico e pedagogico) rimette di nuovo in azione il principio dei vasi comunicanti: per la sua «penna veridica, se pur intinta a le cacche».