Gabrielli desecreta il report. E la rete dei putiniani si disfa
Effetto Ucraina Nel documento solo due dei nove nomi finiti sul «Corriere». Il sottosegretario ai servizi: «Nessuno è oggetto di investigazione o di monitoraggio. C’è stata una mano solerte. Nulla rimarrà impunito»
Effetto Ucraina Nel documento solo due dei nove nomi finiti sul «Corriere». Il sottosegretario ai servizi: «Nessuno è oggetto di investigazione o di monitoraggio. C’è stata una mano solerte. Nulla rimarrà impunito»
«Ognuno di noi ha una storia e un credibilità. Certe insinuazioni rischiano di essere lesive della storia di chi cerca di servire il Paese»: l’irritazione di Franco Gabrielli, sottosegretario con delega ai servizi segreti, è palese, dirompente come raramente si è mai percepito in una conferenza stampa istituzionale. La decisione di convocarla, certamente presa di concerto con il premier, si è imposta dopo che la smentita dello stesso Gabrielli era caduta nel vuoto, senza neppure scalfire il tornado di voci di dossieraggio da parte dei servizi su chi dissente dalla politica del governo nella crisi Ucraina. Per metterle a tacere c’era una strada sola: rendere pubblico il «famigerato report», peraltro classificato come «Riservato», cioè a basso livello di segretezza: «il minimo sindacale». Per dimostrare che «non c’è nessuna Spectre, nessun Grande Fratello, nessuna schedatura». Solo una «attività di ricognizione su fonti aperte». Il documento desecretato conferma. L’elemento sorprendente e scandaloso non è quel che c’è ma quel che invece non c’è. Non ci sono sette dei nove nomi pubblicati dal Corriere della Sera sotto il sobrio titolo: «La rete di Putin in Italia». Con tanto di foto.
IL REPORT IN REALTÀ non dice nulla di men che ovvio: l’appoggio di Putin a Marine Le Pen, le critiche a Draghi, il Cremlino che «tenta di inquinare il dibattito» ricorrendo a «informazioni e prodotti audiovisivi artefatti o decontestualizzati». Se qualcosa nell’analisi desta stupore è casomai la segnalazione di «un forte rallentamento nell’attività di disinformazione russa». Ci sono sei nomi, nessuno dei quali «è oggetto di investigazione o monitoraggio». Due di questi, l’economista e pubblicista Alberto Fazolo e il freelance Giorgio Bianchi, figuravano anche nella lista del quotidiano di via Solferino: «Ma sono citati solo in riferimento a circostanze specifiche», puntualizza l’ex capo della polizia. Come gli altri sette nomi siano finiti in una vera e propria lista nera, diffusa col massimo del clamore dal principale quotidiano italiano, non è materia che possa interessare Gabrielli. Non si tratta di disinformazione pilotata dall’estero ma autoctona. Di competenza casomai dell’Ordine dei giornalisti , se ci saranno querele dei tribunali, delle valutazioni di un editore degno del nome. Non dei servizi. Per Gabrielli l’importante è solo assicurare che quei nomi indebitamente sbattuti in prima pagina non sono stati pescati da qualche altro report, che «non ci sono giornalisti e men che meno politici monitorati», che l’elemento «che più ha infastidito» è proprio «l’insinuazione che un parlamentare, Vito Petrocelli, fosse oggetto di monitoraggio».
LA FONTE DELLA FUGA di notizie, quella invece è competenza del sottosegretario. Promette di procedere con severità esemplare: «Nulla rimarrà impunito. Lo dobbiamo al Paese. Il documento non è sceso dal cielo nelle mani dei giornalisti. La stessa tempistica dimostra che c’è stata una mano solerte». Un incidente di questa portata, però, non lo si può affrontare solo punendo il responsabile della fuga di notizie di turno. Impone un ripensamento generale e Gabrielli, che del resto non ha mai apprezzato molto la trovata dei «tavoli sulla disinformazione», lo dice senza perifrasi: «Se il prezzo è così alto va fatta una riflessione sull’utilità».
GABRIELLI È STATO impeccabile. La decisione di ieri raggiungerà probabilmente il risultato perseguito invano con la smentita di qualche giorno fa. Lo stesso Petrocelli si dice «compiaciuto» anche se insiste perché si capisca «chi ha passato alla stampa informazioni distorte» e conferma l’intenzione di querelare il Corriere della sera. Individuare la fonte è certo importante ma la scelta di dare in quel modo e con quella rilevanza le «informazioni distorte» non dipende dalla gola profonda. Per questo sarebbe opportuno e anzi necessario avviare una riflessione seria anche sul ruolo che sta assumendo in Italia un’informazione ridotta a puro strumento di propaganda. Il Corriere però fa sapere che il documento diffuso da Gabrielli è solo una sintesi e che oggi renderà conto del documento completo. Nel caso, e date le assicurazioni del sottosegretario, la vicenda diventerebbe ancora più grave.
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