Gabriele Ferzetti se n’è andato, senza clamore, come aveva vissuto e interpretato la sua professione di attore che vanta la partecipazione a oltre cento film e innumerevoli spettacoli teatrali. Nato a Roma nel 1925 da buona famiglia, viene da subito pervaso dal sacro fuoco dell’arte, coltivato all’accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico. Non ha ancora venti anni quando appare in diversi film mentre poco dopo la fine della guerra Visconti lo recluta per un suo spettacolo teatrale. Giovane, bello, raffinato, elegante non ancora trentenne è già protagonista sia su grande schermo che sul palcoscenico. Lui però non è un mattatore, uno di quegli attori che sono più forti dei personaggi che interpretano, che occupano lo schermo e lo spazio scenico con la loro presenza.

Ferzetti è un ottimo interprete che ama davvero il suo lavoro e la sua professione. Appare nei film di Riccardo Freda, Curzio Malaparte, Antonio Pietrangeli, Mario Soldati (e la sua interpretazione in La provinciale accanto a Gina Lollobrigida gli fa vincere il Nastro d’argento), Carmine Gallone, Luciano Emmer poi arrivano Steno con Le avventure di Giacomo Casanova e Michelangelo Antonioni con Le amiche, due titoli decisivi. Antonioni lo porta ai piani alti del cinema, Steno gli cuce addosso un personaggio che sembra stato fatto apposta per lui. Ma Ferzetti è un attore, non uno stereotipo, quindi rifugge dal ruolo che avrebbe potuto cavalcare per anni, quello del latin lover, per puntare sull’ecletticità.

E fa bene perché tassello dopo tassello costruisce una carriera davvero unica nel suo genere. Intenso in La lunga notte del ’43 di Florestano Vancini, indimenticabile ancora con Antonioni in L’avventura, tanti titoli che si susseguono e si sovrappongono. Lo troviamo anche come Lot in La Bibbia di John Huston, perfido mafioso in A ciascuno il suo di Elio Petri (altro Nastro), poi arriva il giornalista amante di Lisa Gastoni in Grazie zia di Salvatore Samperi, l’industriale con figlio hippy di Escalation di Roberto Faenza, e il monumentale mostruoso Morton di C’era una volta in America di Sergio Leone, sino a diventare suocero di James Bond (purtroppo nell’unica dimenticabile interpretazione di 007 affidata a George Lazenby) in Al servizio di sua maestà di Peter Hunt.

Nell’arco di diversi anni partecipa anche a tre film di Terence Young, lavora molto anche all’estero, ma i titoli che forse si ricordano di più sono Bisturi la mafia bianca di Luigi Zampa e Il portiere di notte di Liliana Cavani. In tempi più recenti lo abbiamo visto in Perduto amor di Franco Battiato, Io sono l’amore di Luca Guadagnino e Diciotto anni dopo di Edoardo Leo.

Ma tra tanti lavori realizzati per il cinema, che rimane perché ha più memoria, è bello anche ricordare il teatro che nei primi anni Novanta ha visto assegnargli il prestigioso premio Ubu, un trionfo per la sua interpretazione di un fallito in Danza di morte di August Strindberg messo in scena da Antonio Calenda con protagonisti appunto Ferzetti e Anna Proclemer. Gabriele Ferzetti ha attraversato ogni genere cinematografico, e talvolta è inciampato in film modesti, ma lo ha fatto sempre con la schiena diritta e la sconfinata professionalità di chi non si è mai lasciato ingabbiare dai cliché. Possono essere orgogliosi di lui i due nipoti che gli ha dato la figlia Anna, anche lei attrice, con Pierfrancesco Favino. Speriamo che l’eleganza e la classe di Gabriele Ferzetti trovi modo per essere riproposta da loro (in qualsiasi campo) in un mondo che nei tempi più recenti sembra avere smarrito non solo la bussola ma anche la grazia.