Non vuole essere chiamato mzungu – uomo bianco nella lingua del Kenya – Gabriel. «Sono brasiliano» dice al keniota che gli dà quell’appellativo: non equivale a essere un bianco. Interpretato da Joao Pedro Zappa, Gabriel Buchmann è il protagonista di Gabriel e a Montanha di Fellipe Gamarano Barbosa, vincitore del Prix Revelation alla Semaine de la Critique.

Il regista brasiliano, che con questo suo secondo lavoro porta inoltre a casa il premio per la distribuzione assegnato dalla Fondazione Gan, del suo protagonista è stato compagno anche di scuola in un istituto cattolico di Rio De Janeiro. Buchmann non è infatti un personaggio di fantasia ma un ragazzo che nel 2009 ha perso la vita sulla vetta del monte Mulanje, in Malawi: il fortuito ritrovamento del cadavere da parte di un contadino è la sequenza che apre il film, che poi torna indietro nel tempo e ritrova Gabriel mesi prima, durante la sua permanenza in Kenya. Il ragazzo è infatti nel pieno del suo anno sabbatico dedicato a un lungo viaggio intorno al mondo prima di trasferirsi a Los Angeles, dove è stato accettato dall’Ucla.

Il suo stile di vita nel corso del viaggio è improntato sulla scelta di spendere l’80% del budget giornaliero per i «nativi», con i quali passa la maggior parte del tempo cercando di discostarsi dalla tradizionale esplorazione turistica dei paesi sconosciuti, in cerca di un’esperienza più autentica. Gli uomini che lo hanno conosciuto, ospitato e guidato durante questo suo percorso vengono anche loro rintracciati da Barbosa, che li fa recitare al fianco di Zappa nei panni di se stessi, e che offrono anche la loro voice over per ricordare Gabriel e il tempo trascorso con lui.

Come Barbosa e come il protagonista adolescente del suo film precedente, Casa Grande, Gabriel viene dalla classe sociale più agiata del Brasile. E come per il protagonista di Into the Wild di Sean Penn la sua esplorazione solitaria ed estrema fino all’autolesionismo della wilderness è anche un gesto di deliberata ribellione al privilegio di classe. La trasgressione, lo sprezzo del pericolo – l’incomprensibile hubris nei confronti della montagna, che sceglie di scalare da solo e di notte contro ogni migliore consiglio – e il desiderio di un’esperienza autentica tradiscono però proprio tutti i cliché da cui Gabriel pensa di emanciparsi, e in particolare il paternalismo insito nel volersi rapportare alla pari con coloro che incontra.

Nel suo ritratto di Gabriel il film di Fellipe Gamarano Barbosa risulta ambiguo: mostra le debolezze del ragazzo ma allo stesso glorifica il ricordo della sua impresa, senza il coraggio di prendere posizione: non sulla indiscutibile tragedia della morte di Gabriel, ma sul senso profondo di questa trasgressione senza happy end di un uomo bianco.