«Non svenderemo le nostre idee per un paio di poltrone ministeriali»: il segretario del partito socialdemocratico tedesco (Spd), Sigmar Gabriel, si rivolge così ai delegati congressuali, e idealmente anche alla cancelliera democristiana (Cdu) Angela Merkel. Un intervento inatteso, quello di Gabriel, che ha rappresentato il momento culminante dell’ultima giornata delle assise socialdemocratiche, conclusesi ieri a Lipsia. L’ordine dei lavori prevedeva solamente una discussione sulla politica municipale, con i big lontani dal podio: il leader del partito, invece, ha preso la parola, sorprendendo tutti.
Motivo: cercare di elaborare il trauma del giorno prima, quando lui stesso, i suoi vice, e gli altri membri della segreteria erano stati rieletti ai loro posti con percentuali molto basse. Un duro colpo, e un chiaro segnale di sfiducia: i delegati congressuali hanno voluto mettere in guardia il gruppo dirigente da una conduzione troppo «disinvolta» delle trattative per la formazione della grosse Koalition con la Cdu-Csu. Un’alleanza, quella con Merkel, che larghi settori della Spd non riescono a digerire.
E così Gabriel, facendo ricorso a tutta la retorica di cui è capace, ha rassicurato la platea e ha alzato la posta con la cancelliera: «Non vogliamo un accordo ad ogni costo, ma solo a precise condizioni». Che è tornato a ribadire: salario minimo per legge a 8,5 euro orari, pensione a 63 anni (e non più a 67) per chi ha 45 anni di contributi, riforma del diritto di cittadinanza per consentire il doppio passaporto ai nati in Germania da genitori immigrati, investimenti in asili e scuole, correzione della politica di austerità in Europa. Rispetto al programma elettorale, manca la richiesta di aumento delle tasse per i redditi più alti e l’introduzione della patrimoniale.
I delegati hanno apprezzato, con lunghi applausi e standing ovation finale per il segretario: da ieri, il rapporto fra vertici e base sembra essersi almeno un po’ ricucito. Gabriel ha riaffermato la propria leadership, richiamando alla responsabilità i quadri del partito: «Se troveremo l’accordo con Merkel, sarà compito di tutti farlo approvare dagli iscritti». L’ultima parola, infatti, l’avranno gli oltre 450mila tedeschi con la tessera Spd in tasca, chiamati ad esprimersi in modo vincolante sull’esito dei negoziati con i democristiani. Negoziati che dureranno almeno altre due settimane.
La cancelliera ha meno problemi di Gabriel nel far accettare in casa propria la «grande coalizione», anche se pure lei è tacciata di arrendevolezza da parte delle correnti più a destra. A farsi sentire sono gli ultraliberisti della Cdu, contrari al salario minimo legale. Critiche che non impensieriscono Merkel, forte di un controllo ferreo sulla propria organizzazione: ieri ha fatto sapere di essere disposta ad andare incontro alla richiesta della Spd, consapevole di dover cedere su qualche punto. E sicura di avere incassato, in cambio, la rinuncia dei futuri alleati agli aumenti delle imposte.
Dal congresso socialdemocratico di Lipsia esce dunque un’indicazione di marcia che continua ad avere come obiettivo la grosse Koalition, ma il margine di manovra del vertice della Spd si è ridotto: il corpo del partito non è disposto a ingoiare rospi troppo grandi. Sul fronte dei rapporti a sinistra, caute aperture: imitando i Verdi, i socialdemocratici archiviano la conventio ad excludendum ai danni della Linke. Non subito, però: la nuova linea varrà dalle prossime elezioni del 2017. E solo con adeguate «garanzie di stabilità e affidabilità».