Le dimissioni in Italia sono cosa rara. Quelle di Milena Gabanelli dalla Rai hanno in più, alcuni elementi che dovrebbero far vergognare chi sta attaccato alla poltrona pensando solo ai propri interessi di conservazione del posto, del potere e dello stipendio. Già è scandaloso che un’azienda come la Rai, pagata con il canone da tutti gli italiani intestatari di un contratto di elettricità, abbia tenuto per più di un anno a bagnomaria una delle sue giornaliste di punta che fa vera informazione. Se poi si pensa al palinsesto Rai, al fatto che lì ci sono quasi 1600 giornalisti, a quali e quanti programmi di approfondimento e di inchiesta sono prodotti, non c’è mica bisogno di aver frequentato la London School of Economics per capire che paghiamo tanto per ottenere il minimo. Dopo aver lasciato Report un anno fa, Milena Gabanelli aveva presentato alla Rai piani e proposte di vario genere. Un imprenditore o editore degno di questo nome le avrebbe dato credito perché, anche considerando solo l’aspetto commerciale e del capitale, bisogna essere masochisti a non investire su chi è bravo, ha idee e produce risultati. E invece che fanno questi? Le propongono di tornare al punto di partenza, ovvero condurre Report, proprio la trasmissione da lei ideata nel 1997 e che ha lasciato per desiderio di costruire altro.

Chi conosce il difficile mestiere del giornalismo d’inchiesta sa che richiede tempo, esperienza, tenacia, bravura, intuito, a volte un po’ di fortuna e un ottimo lavoro di squadra. Dietro a Milena Gabanelli, infatti, la squadra c’era e c’è tant’è che, partita lei, la trasmissione continua condotta da Sigfrido Ranucci, coautore di Report dal 2006 e con un lungo curriculum di cronista e inchiestista. Oltre all’impossibilità di dare un contributo utile, una delle ragioni per cui Gabanelli ha preferito andarsene ha qualcosa di straordinario in questo Paese. Intervistata dal Corriere della Sera ha detto: «Per quel che riguarda la proposta di ritornare a Report in condirezione con Ranucci, oltre a precisare che è stata la sottoscritta a decidere che dopo 20 anni era venuto il momento di considerarla un’esperienza conclusa, la ritengo mortificante per il collega e l’intera squadra che sta portando avanti il programma in modo eccellente». Ha detto proprio così, mortificante. Non perdo tempo a disquisire sulla proposta della Rai perché si commenta da sola. Voglio invece dire qualcosa su ciò che c’è dietro le parole di Gabanelli.

C’è il riconoscimento per chi lavora e lo fa bene. C’è l’orgoglio di chi ha costruito qualcosa e lo ha lasciato in ottime mani. C’è il rispetto per chi ti ha sostituito. C’è l’allergia per mosse opportuniste. C’è il non ritenersi indispensabili. E poi c’è l’indisponibilità a rendersi complici di tiri mancini. Tutto ciò si chiama Agire Etico. Non è una merce e infatti non la si trova al mercato. È un modo di essere. È una scelta di vita, un metodo di lavoro, una qualità dei rapporti e delle relazioni. È un virus che viene inculcato dall’ambiente, dall’educazione e quando ti prende non c’è antidoto che lo debelli anzi, più lo si pratica e più si installa rendendo la persona allergica alle schifezze. Colpisce laici e non, quindi non ha religione. Purtoppo l’Agire Etico molti lo predicano e poi non lo praticano e quelli sono i peggiori. Dopo le dimissioni di Gabanelli, il direttore generale della Rai Mario Orfeo si è detto «Molto dispiaciuto, ma anche molto stupito». Ha poi aggiunto di aver cercato «Ogni soluzione per convincerla a restare», ma che le richieste da lei avanzate erano «Impraticabili». Eh già, mortificare era invece praticabilissimo.

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