Cosa sia accaduto a Genova nel 2001 è chiaro a tutti: pezzi di stato e di forze dell’ordine hanno agito fuori dalla legalità in modo reiterato e violentissimo. A partire da quell’attacco alla testa del corteo, la rappresentazione dello Stato nella piazza e nelle caserme è da dittatura militare. Carlo muore in questo scenario di aggressione e sospensione dello stato di diritto.

Questa è la verità dei fatti nella loro semplice e innegabile concatenazione, e dietro le responsabilità immediate si cela la parte meno evidente di quei fatti, la catena di comando che conduce a responsabilità istituzionali e politiche altissime. Ed è una verità che le istituzioni italiane continuano a negare. Non la riconoscono i tribunali, che finora hanno condannato soprattutto manifestanti, e non la vuole riconoscere il Parlamento, che non ha mai accettato di istituire una commissione d’inchiesta.

Ora però sono occorsi due fatti che inducono chi non si rassegna a questa opacità tutta italiana a rovesciare il tavolo, a imporre che si ricominci daccapo nella ricerca ed enunciazione pubblica di questa verità. Da un lato il riconoscimento, seppur parziale, del reato di tortura, su sollecitazione dell’Europa, dovrebbe indurre a spuntare una delle armi più efficaci di ogni abuso di potere, la prescrizione. Dall’altro per la prima volta un uomo dello Stato, un magistrato come Alfonso Sabella, che ha avuto alte responsabilità proprio in quel G8, fa allusioni rispetto al livello nascosto dei fatti di Genova. Egli ha parlato di un complessivo «disegno» politico-istituzionale, della presenza attiva dei servizi segreti, che sarebbero arrivati a cancellare prove a posteriori, della volontà da parte di apparati dello stato di provocare vittime. Sabella delinea un quadro inquietante. Io ho vissuto in prima persona la vicenda del G8, e ho vissuto sulla mia pelle questa torbida volontà di criminalizzare tutto un movimento dalle variegate anime, di spostare il piano dialettico dalla politica allo scontro militare, e come tutti gli altri mi sono percepito vittima di una violenza indiscriminata e inesorabile. Il problema non rimane soltanto quello di condannare i responsabili materiali, ma è capire di cosa e di chi quella generazione sia stata vittima, e le dichiarazioni di Sabella aprono uno spiraglio in questo senso.

Le vicende di omicidi e stragi che hanno coinvolto pezzi di Stato sono purtroppo un lugubre leitmotiv della storia italiana, e per ognuna di esse la difficile, a volte impossibile sfida è quella di conoscere la fonte degli ordini e la catena di comando, così come le strategie di fondo. Ma ciò di cui dovremmo prendere coscienza è che questa realtà di sottogoverno del Paese non deve più essere presentata come uno stato «parallelo» o «deviato» che si manifesta in circostanze eccezionali. Si deve cominciare a pensare a una modalità di organizzazione stabile dei poteri che, in determinate circostanze, promuovono azioni illegali su mandati non presentabili formalmente.

Ora perciò chiediamo a Sabella di circostanziare le sue dichiarazioni affinché si possano riaprire le indagini per individuare i responsabili più alti di reati dai contorni eversivi, e chiediamo che sia aperta finalmente quella commissione d’inchiesta parlamentare che già nel 2001 e nel 2007 le forze di governo non sono riuscite ad avviare. Solo in questo modo potremo contribuire a far risalire la china della democrazia a questo paese, ripartendo da Genova.

*Capogruppo di Sel in Campidoglio