Minacce che cominciano a concretizzarsi di guerra commerciale generalizzata, tensioni monetarie, crisi regionali a cominciare dall’Iran e anche esame dei rischi, tra cui la crescita esponenziale della cripto-monete: il G20 Finanza (ministri dell’Economia e banche centrali) si riunisce fino a stasera a Buenos Aires. Presenti i ministri dell’Economia e delle Finanze dei 19 Paesi membri del club nato nel ’99, più la Ue, che rappresentano l’85% del commercio mondiale, i due terzi della popolazione del globo e più del 90% del Pil prodotto. In questo momento di gravi minacce, il G20 torna alle origini, quando era nato, dopo la crisi finanziaria degli anni ’90, per cercare di ricostruire un terreno di intesa mondiale.

AD ACCOGLIERE il summit, l’Argentina, di nuovo una forte crisi, attraversa la quinta recessione degli ultimi dieci anni. La direttrice dell’Fmi, Christine Lagarde, ha discusso già venerdì con il ministro dell’Economia e delle Finanze argentino, Nicolas Dujovne, del prestito che il Fondo ha concesso a Buenos Aires, 50 miliardi di dollari, in cambio di un giro di vite di austerità. In piazza, a Buenos Aires, la protesta della popolazione contro questo prestito che riaccende ricordi tragici. Per il principale sindacato, la Cgt, l’accordo del governo Macri con il Fmi «apre un conflitto senza fine» imponendo «un programma di austerità impossibile a un Paese dove l’economia è già paralizzata». L’Argentina non riesce a risollevarsi, l’economia stagna, l’inflazione è al 30%, la povertà colpisce un terzo della popolazione.

E ciò che il protezionismo di Trump sta scatenando renderà la situazione ancora più difficile. Secondo un calcolo fatto dall’Fmi, la guerra commerciale potrebbe portare a un calo dello 0,5% del Pil mondiale annuo, un restringimento di 430 miliardi di dollari. Con risultati leggermente diversi a seconda delle zone economiche: sorprendentemente, ad essere maggiormente colpiti saranno proprio gli Usa che Trump afferma di voler difendere (meno 0,8%), mentre l’Asia perderebbe uno 0,7% e la Ue lo 0,3%. L’Fmi smentisce così la tesi di Trump secondo cui le guerre commerciali sono «buone e facili da vincere».

ALLA VIGILIA Donald Trump, che a Buenos Aires ha inviato il segretario al Tesoro Steven Mnuchin, ha minacciato di alzare le barriere doganali su tutti i prodotti importanti dalla Cina, cioè su un totale di più di 500 miliardi di dollari di import. Trump accusa Pechino di aver scatenato «la più grande guerra commerciale» di tutti i tempi (e la Cina rovescia l’accusa) «imbrogliando» gli Stati uniti ormai «da troppo tempo». Ma Mnuchin, appena arrivato, ha cercato di calmare le acque, affermando che risponderà «alle inquietudini sulla politica commerciale».

LA UE È PREOCCUPATA, mercoledì il presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, sarà a Washington per cercare di evitare il rialzo dei dazi sulle auto europee. Dalla Germania Angela Merkel afferma che la Ue è «pronta» a reagire, ma che la protezione doganale è «la peggiore soluzione» (la Ue sarebbe in realtà la zona a soffrire di meno dell’aumento di dazi Usa sulle auto, che pesano intorno all’1% dell’export europeo negli Stati uniti).

UN ALTRO FRONTE è stato aperto da Trump: quello monetario. «Cina, Ue e altri manipolano la loro moneta abbassando i tassi di interesse – ha affermato venerdì – mentre gli Usa li aumentano», accusando la Federal Reserve, «con un dollaro che diventa sempre più forte, giorno dopo giorno, cosa che degrada la nostra competitività».

IL FONDO MONETARIO per il momento conferma le previsioni di crescita mondiale, un +3,9% nel 2018 e nel 2019, ma Lagarde mette in guardia su un possibile freno in caso di guerra commerciale. Per il capo economista dell’Fmi, Maurice Obstfeld, le tensioni commerciali rappresentano «la minaccia più grande a breve alla crescita mondiale». Una seduta sarà dedicata all’Iran (che non è nel G20). Gli Usa vogliono isolare economicamente Teheran, dopo aver denunciato l’accordo sul nucleare. La Ue si oppone. Il 6 agosto entrano in vigore le misure protettive di Bruxelles per tutelare le imprese presenti in Iran. Ma gli Usa hanno già rifiutato le esenzioni chieste dagli europei affinché le società che operano in Iran non siano colpite nei loro affari con gli Usa.

IN AGENDA anche i rischi di crisi del debito nei Paesi africani (nel 2017 Mozambico e Repubblica del Congo hanno fatto default). Il debito pubblico è raddoppiato in 5 anni (anche se mediamente resta a livelli bassi rispetto agli standard occidentali), è intorno al 57% del Pil, ma in Paesi dove la raccolta fiscale è aleatoria e il servizio del debito già pesa l’11% del Pil. Sei paesi sono a rischio. Il primo creditore è ormai la Cina.