Il G20 di Antalya è stata una farsa. Ma pensando agli attacchi di Parigi, si è passati alla tragedia. La lotta al terrorismo ha tenuto banco. Il primo tra i provvedimenti del documento in nove punti, annunciato in chiusura dei lavori, prevede il blocco degli «asset finanziari» per i jihadisti.
Eppure dalla Turchia all’Arabia saudita fino alla Francia e agli Stati uniti, al summit in Turchia si sono seduti allo stesso tavolo i leader dei paesi che negli ultimi anni più di ogni altro hanno favorito l’ascesa dei gruppi jihadisti attraverso finanziamenti diretti e indiretti.
I provvedimenti contro lo Stato islamico (Is) prevedono poi il rafforzamento della sicurezza aerea. Verranno incrementati i controlli di frontiera per contenere il numero crescente di foreign fighters che si uniscono a Is, partendo dall’Europa. Non solo, è stata stabilita la necessità di ulteriori controlli sulla propaganda jihadista via internet. Il Califfato ha fatto per mesi ormai di Twitter e della diffusione di video di propaganda la sua base strategica di campagna per il proselitismo nel mondo.
Durante il summit, il presidente Usa, Barack Obama, ha avuto un incontro bilaterale con il presidente russo, Vladimir Putin, alla presenza dei rispettivi interpreti. Obama si è espresso a favore di un allargamento della coalizione internazionale anti-Is in Siria ma si è detto contrario all’invio di truppe di terra. Ai margini del vertice, il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, ha annunciato che Ankara sta lavorando ad uno scenario in cui alla fine della fase di transizione in Siria, che dovrebbe durare per i prossimi sei mesi, il presidente Bashar al-Assad non si ricandidi alle elezioni presidenziali.
Il presidente Recep Taiyyp Erodgan ha annunciato che le autorità turche starebbero per inviare oltre 10 mila soldati nel Kurdistan siriano (Rojava). La missione dovrebbe partire a metà dicembre per rafforzare le safe-zone turche in Rojava, create la scorsa estate. In realtà la strategia di Ankara sta producendo solo prigioni a cielo aperto per i profughi in fuga dal conflitto. Sembra che ancora una volta, Erdogan voglia far passare la lotta contro i kurdi come lotta al terrorismo di Is. Il presidente turco è terrorizzato per l’avanzata in Siria e Iraq delle forze kurde del Partito del lavoratori del Kurdistan (Pkk), del Partito democratico unito (Pyd) e dei peshmerga iracheni.
La Turchia ha continuato domenica a bombardare decine di basi del Pkk nel Nord dell’Iraq. La campagna contro il partito di Ocalan è stata avviata lo scorso luglio, mascherata da lotta all’Is. Tutto questo verrebbe permesso dagli altri paesi della Nato in nome del contenimento dei flussi di profughi che vorrebbero raggiungere l’Europa. A questo proposito, il Cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha annunciato che il prossimo 4 febbraio si terrà a Londra una conferenza internazionale sull’immigrazione, organizzata dal premier inglese, David Cameron, con il capo del governo norvegese, Erna Solberg, e l’emiro del Kuwait, Sabah al-Sabah. Il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, aveva denunciato quanto i raid russi in Siria stiano aumentando il numero dei profughi kurdi e siriani. «L’unico effetto fin qui degli attacchi russi è l’aumento del numero di rifugiati», ha detto. Anche ieri alle porte del G20, si sono svolte manifestazioni di contestazione. Dieci persone erano state arrestate a ridosso della zona rossa nel quartiere di Belek, sei di loro appartenevano al partito di sinistra Birlesik Devrimci Parti (Partito rivoluzionario unito).
Domenica, un kamikaze si era fatto saltare in aria durante un raid della polizia a Gaziantep nel Kurdistan turco, ferendo cinque agenti. La polizia è riuscita ad arrestare un altro militante. Il blitz era scattato nell’ambito dell’indagine sugli attentati di Ankara del 10 ottobre scorso nel quale sono rimaste uccise 102 persone, rivendicato da Is.
A due passi dal G20, non si sono placate neppure le violenze, in particolare a Silvan e Nusaybin (Kurdistan turco), dove da giorni vigono misure speciali, incluso il coprifuoco. Otto sono i morti negli ultimi giorni a Silvan. L’ultimo civile colpito, Abdulkadir Yilmaz, è morto senza ricevere cure perché gli ospedali erano chiusi e le ambulanze bloccate.