Chiostri, giardini, spazi lungo il Tago. FUSO, il festival di videoarte di Lisbona, ha compiuto 10 anni. A Lisbona sempre fra la fine di agosto e i primi giorni di settembre, all’aria aperta. Il programma inizia alle dieci di sera, con un intervallo che consente di gustare il tipico pastel de nata e un bicchiere di vino offerti dal Festival, che fornisce anche le coperte per imbozzolarsi sulle sdraio e difendersi dal fresco che arriva dal fiume e dal vicino oceano. Il Museo della Marionetta e quello di Arte Antica, il Museo di Arte Contemporanea del Chiado, il MAAT con le sue architetture industriali a fianco della nuova struttura, il Museo di Storia Naturale. Nel verde, su un prato, sotto grandi alberi, sullo spiazzo lungo il Tago, si accende lo schermo di un festival che negli anni si è conquistato spazio e attenzione, collaborazioni e sponsor, grazie ai progetti e alle iniziative di «Duplacena» e di «Horta Seca», associazioni di produzione e organizzazione culturale attivissime in una città ricca di manifestazioni, iniziative e rassegne, anche cinematografiche, e di uno scenario performativo e multimediale (oltre che urbanistico) in movimento incessante.

La tradizione di FUSO (diretto da António Camara e Jean-François Chougnet, con il coordinamento di Rachel Korman e la consulenza artistica di Irit Batsry), vede una competizione portoghese, serate di ricognizione storica, «focus» su artisti, programmi tematici.

ANTONI MUNTADAS
Quest’anno il festival stesso, nel suo insieme, si era dato un tema: Sostenibilità. Parola d’ordine che parte da ambiente e diversità per dilagare nell’arte, nelle posture e nei gesti del capire, preservare, accogliere e scegliere. Ecologia della mente e dei media. Così, ha assunto un valore particolare l’invito all’artista catalano Antoni Muntadas, un pioniere nella riflessione su immagini e potere e nell’intuizione dell’importanza di progetti urbani, come la celebre azione «The Limousine Project», testimoniata dal video omonimo del 1991, in cui la macchina simbolo di ricchezza e potere portava in giro per New York, presentate dai finestrini, pubblicità, slogan politici, titoli, mescolati a parole come corruzione, violenza, genere. L’opacità classica dei vetri della grande auto era capovolta nel disvelamento dei meccanismi dei media. Di Muntadas, che ha incontrato il pubblico di FUSO, sono stati proiettati anche altri lavori, realizzati nell’arco di oltre trent’anni. Riflessione sulla parola, la notizia, la manipolazione, ma anche un video ancora attualissimo sui confini tra Messico e USA (On Translation: Fear/Miedo, 2005) fra testimonianze e immagini TV: sollecitazioni sul significato e l’utilizzo della paura nel confronto fra esperienza quotidiana e costante manipolazione. Una linea di confine, appunto, nel senso vissuto e nell’uso distorto e strumentale.

Anche la serata dedicata a Nam June Paik, curata da Lori Zippay, storica collaboratrice di Fuso, con la sua pluridecennale esperienza nella newyorkese Electronic Arts Intermix (archivio, distribuzione, sostegno e salvaguardia della videoarte) è stata incentrata sulla TV. Si è potuta vedere in tutto lo splendore di un recente restauro l’opera ormai storica, decisamente un classico di Paik, Global Groove, 1973. Global come il villaggio globale descritto poco prima da McLuhan, ma accompagnato qui dal richiamo musicale. Ed è in effetti un ritmo, una danza mediatica musicata dagli effetti visivi elettronici, quest’opera di Paik: pubblicità della Pepsi, Nixon, il Living Theatre, Allen Ginsberg, i Navajos: avanguardia e pop, frastuono e pause di silenzio in dialogo (o in contrapposizione?), universi televisivi, musica di Stockhausen. Un video che sembra prevedere le mescolanze successive, gli universi e i generi intrecciati, il caos mediatico planetario. Nella stessa serata si è visto un video del 2012, Country Ball, di Jacolby Satterwhite, che rivisita Global Groove in digitale, con un breve piano sequenza ricco di figurine in una danza autoreferenziale, fra immagini 3D, scritte e ripetizioni. Salto temporale, salto di sguardo e di tecnologie: pallida eco di un lavoro, quello di Paik, invece denso di gioiosa e inquietante polifonia.

La competizione portoghese, riservata anche ad autori che lavorano all’estero, per la prima volta quest’anno non era a tema libero ma incentrata sulla parola chiave della sostenibilità che ha caratterizzato tutto il festival. Il che ha consentito di vedere molti lavori (14 selezionati sui circa 150 pervenuti) di natura ecologica, in senso stretto e in senso lato, ma forse ha un po’ appiattito sul tema obbligato una creatività che negli anni scorsi, fra anarchia espressiva e varietà di sguardi e contenuti, aveva offerto un ampio ventaglio di spunti. Poetici e inquietanti, i video di questa sezione – l’unica competitiva del festival – hanno composto una sinfonia suggestiva, fra nature morte e vive, boschi misteriosi e silenziosi, cataloghi di uccelli estinti, ma anche (estendendo l’ecologia ai sentimenti e alle emozioni) delicate digressioni amorose e nervosi vagabondaggi. La serata vede sia il voto di una giuria che quello del folto pubblico: quest’ultimo ha premiato Exctint Birds, catalogo animato di specie scomparse, di João Paulo Serafim, mentre il premio della giuria (che consiste nell’acquisizione del video da parte della Fondazione EDP-MAAT) è andato a Yuri Firmeza, videomaker, studioso e artista visivo brasiliano (Università di Fortaleza). L’autore, che nel ricevere il premio ha ricordato chi stava in quei giorni contestando anche all’università le politiche di pesante ingerenza di Bolsonaro, ha realizzato in Apenas um Gesto Ainda nos Separa do Caos un’immersione per frammenti in un disordine di incontri e strade con il filo conduttore del vulcano, tra fascino, minaccia, temporalità diverse, in un intreccio poetico-politico con una densa ricerca sonora. Menzione speciale a Soul Blindness, di Margarita Paiva: una foresta in bianco e nero in cui alberi e acqua sono percorsi da movimenti incessanti ma abitata da animali immobili, evidenti presenze imbalsamate, fantasmi di innaturale fissità.

FLORIS KAAYK
FUSO (che sarà proposto in ottobre anche nelle Azzorre) ha visto, nel corso delle serate, altri programmi, come il «focus» sull’olandese Floris Kaayk, curato e presentato da Tom Van Vliet, direttore del glorioso World Wide Video Festival de l’Aja e poi di Amsterdam dai primi anni Ottanta al 2004. Un artista, Kaayk, il cui universo si muove fra animazione, ibridazioni di forme, distopie e fantasie tecnologiche, musica e videogame alternativo, interattività e 3D, usando molto la rete. Del resto anche l’apertura del Festival, tradizionalmente in una viuzza del quartiere di Belém, ha visto la presentazione di un lavoro (di Pedro Barateiro) che usa e ripensa la tecnologia: A Viagem Invertida si basa su immagini dell’estrazione del litio (usato anche nelle batterie dei nostri smartphone) nel Nord del Portogallo.
E, ancora, i lavori degli studenti della Scuola di arte e comunicazione, la serata «Hidrológicas» curata da Margarita Mendes, quella su «Distribuzione dei corpi e rappresentazione di quel che resta» curata dal brasiliano Moacir dos Anjos, il «Futuro Presente» a cura di Sandra Vieira Jürgens. Video in equilibrio fra crisi ambientale e riflessione politica. Video percorsi da inquietudini e da molte domande. Classici e nuovi orizzonti, mescolanze di nuovi temi in equilibrio instabile (titolo di una sezione). Incontri fra opere e generazioni diverse di spettatori, artisti e critici, nelle fresche notti di Lisbona.